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Based on a work at rockedintorni.blogspot.com. .: Black Sabbath - Never Say Die! (1978)

sabato 4 aprile 2009

Black Sabbath - Never Say Die! (1978)


Anno: 1978

Etichetta: Sanctuary

Tracklist:
1. Never Say Die
2. Johnny Blade
3. Junior's Eyes
4. A Hard Road
5. Shock Wave
6. Air Dance
7. Over to You
8. Breakout
9. Swinging the Chain

Leggero come una piuma
Never Say Die! è l'album più leggero dei Black Sabbath, in assoluto. La sua essenza è ben catturata dal concept del veivolo, sviluppato nell'artwork. Due piloti in copertina, progetti aerospaziali all'interno. è l'aria che diventa musica. Qualcuno prima d'allora poteva mai immaginare i Black Sabbath a suonare come suonerebbe l'aria? Beh nel 1978 la band che inventò tutto (o quasi) inventa una versione dell'HARD rock il più leggero possibile, contaminato dall'elettronica, da innesti di piano e fiati, l'idea era quella di fare una musica che prendesse il volo. Non un album poppeggiante o lento, al contrario! Un album di canzoni energiche ancorchè leggere, così energiche che possono prendere il volo, verso chissà quali lidi, sicuramente lontano dalle origini del gruppo, lontanissimo dal suono torbido dei primi album, ma non ancora nel tunnel metallico che verrà dopo. Questo è un episodio assolutamente unico, l'ultimo con Ozzy, rientrato nella band dopo la morte del padre, al quale dedicherà Junior's Eyes, cambiandone il testo, originariamente cantato in una trasmissione della BBC da Dave Walker (Savoy Brown, Fleetwood Mac), che fu scelto come cantante dei Sabbath dopo il primo abbandono di Ozzy, e che quindi nelle sessions dell'album aveva già cantato diversi pezzi, che ora verranno quasi tutti ricantati da Ozzy, salvo il brano conclusivo dell'album (che lui si rifiuterà di cantare) che ora noi ricordiamo con la voce del batterista Bill Ward.

Uno shock per i fan
Se il rock radiofonico di Technical Ecstasy è decisamente troppo per i fan dei Black Sabbath, il troppo non è mai troppo per quanto riguarda Never Say Die!, considerato solitamente come tra i peggiori passi falsi di tutta la carriera dei Black Sabbath e il peggiore con Ozzy. Naturalmente non è così, anzi, fossero tutti come questo i passi falsi! Di certo non fu una scelta semplice quella di fare un album jazzy, perchè innanzitutto non erano anni in cui queste cose andavano per la maggiore, anzi, la moda del jazz rock era già in soffitta, il movimento era incominciato dieci anni prima, con i primi esperimenti sul caso fatti da Miles Davis, ed era andato via via ritirandosi dalla grande contaminazione anche in classifica, confinandosi in fenomeni sempre più di nicchia o risolvendosi in semplice musica da veloce intrattenimento. I Black Sabbath, alla faccia del fenomeno di costume passato alla storia come movimento punk, addirittura complicano le cose e riprendono la ricerca lasciata con Sabbath Bloody Sabbath. Avrebbero potuto fare un album più grezzo e semplice per rincorrere i gusti del mercato, e invece fanno un disco raffinato, per quanto raffinato possa essere un album dei Black Sabbath, e soprattutto un album di ricerca tecnica, come emerge nello sforzo di Tony Iommi di evolvere il suo stile, attingendo dal jazz, attingendo dai chitarristi prog, ed elaborando una sua sintesi molto personale, che poi è la mediazione tra musica tosta e ignorante e musica d'impegno tecnico che è il compromesso che sta alla base della nascita dell'heavy metal, come metallica è Shock Wave, canzone figlia di questa ricerca di Iommi, che infatti si lancia in un assolo bellissimo, tra i suoi migliori. Ancora meglio fa in Air Dance, un brano praticamente jazz rock (o fusion come si dirà dopo), in cui Ozzy si sente esageratamente fuori luogo, la sua voce è anche di troppo in un pezzo dove le linee melodiche sono già ben sviluppate da quell'intenso e caparbio scambio di assoli tra tastiera (che vedremo ricoprire un ruolo fondamentale nel disco) e chitarra, ora elettrica, ora acustica, ora contenuta o arpeggiata, ora devastante e pronta a prendere pieghe imprevedibili, percorrendo strade mai battute fin ora da band HARD rock, facendo uno sforzo di inserire questa musica di fusione in un contesto duro e pesante che non è facile da inacidire e deviare in questo modo, se non a costo di tirarsi addosso tutta la critica dei fan più oltranzisti, che (e sarebbe paradossale) poi però magari apprezzano l'esperienza dei Cynic, di quindici anni dopo, e non colgono la potenza della suggestione della fusione tra pianista classico(e che suona come tale) e band HARD rock in Over To You, dove tra riff pienamente sabbathiani e la linea a la Chick Corea & Return To Forever di piano e basso corre un abisso, un abisso di fascino.

Tra memoria e ricerca
Never Say Die è allo stesso tempo sulla scia del facile ascolto del precedente Technical Ecstasy e la prova è nell'hard rock in versione leggera come nella posata A Hard Road, o nella più swing n roll Never Say Die, agile e leggero brano d'apertura, che mostra sin da subito il loro approccio più morbido ai brani più movimentati, Iommi, distorto e caciarone fa da pulvisolo atmosferico e la sezione ritmica, sempre brillantissima nel disco, fa da motore per questa grande aeronave che si regge sulle ritmiche possenti e molto dinamiche di Butler e Ward.
Johnny Blade è impreziosita dalla presenza di Don Airey suona le tastiere, fondamentale e addirittura necessario a questo nuovo modo di suonare dei Black Sabbath, che integrano al meglio il loro rock molto melodico all'elettronica dei synth, qua usati molto più consapevolmente che in passato, proprio per rimarcare quell'aspirazione aeriforme di questa nuova incarnazione del gruppo. Il brano si regge su una bellissima ossatura tra batteria di Ward, qua molto ispirato al jazz, come nei primi due album, e il sintetizzatore di Don Airey, che fanno insieme una bomba allo stesso tempo molto orecchiabile e quasi futuristica, molto diversa da quanto fanno fin ora dai Black Sabbath, in parte un degno seguito di Sabbath Bloody Sabbath. Don Airey è grandioso quando escogita intarsi di solismi di pianoforte nell'unico lento, tra l'altro atipico, dell'album, Over To You. Ugualmente jazzy è Junior's Eyes, dove emerge un grandissimo Butler, e un Tony Iommi molto sottile e atmosferico, molto più agile e meno ingombrante che in passato, qua non fa da corpo massiccio della canzone, ma da abbellimento e da elemento di raffinazione, pur nella pesantezza dei suoi assoli, che non tardano ad arrivare, più leziosi e aggrovigliati che nei primi album, e a propagare le loro onde affascinanti sul rimbombo dello straordinario giro di basso di Butler, fino al bellissimo finale dove tutto si appiana in una sorta di trionfo paradisiaco, a sottolineare l'idea di ascensione e passaggio attraverso il cielo. L'elemento dell'aria , come vedete, ritorna sempre, anche quando a bucare l'aria è una persona che, come un lampo, fugge via, e lascia per sempre questo mondo.
Un album malinconico: il tema della perdita di una persona cara è parallelo e complementare alla perdita di se stessi, come la ballerina della tenera Air Dance, ormai solo un ricordo lontano nei pensieri di una anziana signora, che però ancora balla nell'aria, nell'immaginiazione. Leggiadra, nell'aria, è la chitarra di Iommi a fare cose meravigliose e suggerire visioni eleganti all'ascoltatore, come una danzatrice, sulle code della chitarra. E si riscopre il valore della memoria e degli affetti. Poi c'è la frustrazione dell'uomo moderno nell'allegoria del killer di Johnny Blade; chi è la vittima e chi il carnefice? E allora torna il tema dell'emarginazione, torna il tema della violenza e dell'origine dei mali sociali, anche con una velata critica alla criminologia liberale. Non sono più le tinte gravi e truci dei primi Sabbath a dominare i testi, ma metafore più sottili, come questa "Life becomes the singer and the song, sing along", ma il messaggio non è solo di sconsolata malinconia, ma pure un inno alla vita e alla voglia di riprendersi, come dice la title track. Quasi che ora la contrapposizione con l'idea della prossimità alla morte sia un modo per celebrare la vita, sia guardando al futuro, sia rielaborando la memoria.

Una sezione di fiati per i Black Sabbath
Un chiaro rifacimento di Miles Davis sembra invece Breakout, dove troviamo una sezione di fiati la cui parte è arrangiata da Will Malone, un perfetto stacchetto di quasi tre minuti che confermano la visione jazzistica di quest'album, seppur sempre legato a un concetto molto oscuro della musica, e infatti questo pezzo fa solo da intro alla cattiva Swinging The Chain, cantata e suonata da Ward, e con uno Iommi che gioca a fare l'americano, e per giunta sudista, e irrompe in un devastante scambio tra cavalcate elettriche di chitarra da infarto e risposte di tromba, tutto perfettamente incastonato in una grandissima prestazione alla voce del batterista, che si conferma un ottimo cantante, buon interprete di questi Black Sabbath, che cono un buon riassunto di un decennio che volgeva a termine (e che loro nel 1969 avevano già battezzato col fuoco), tra brevi richiami alle loro origini, richiami al blues, richiami al progressive e al jazz rock, tutto il rock degli anni settanta, o quasi, tra scantinato e successoni da classifica, in soli nove brani, che sono sia una celebrazione della grandezza del decennio, sia un modo per coglierne le contraddizioni, la varietà e l'infinita ispirazione che ha saputo dare e che ancora darà a noi tutti.

Ozzy lascia i Black Sabbath, definitivamente, gli anni settanta sono veramente finiti.

John

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