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sabato 14 febbraio 2009

Smashing Pumpkins - Mellon Collie And Infinite Sadness (1995)


Anno: 1995
Etichetta: Virgin Records

Line Up:
Billy Corgan – lead vocal, guitar, piano, producer, mixer
James Iha – guitar
D'Arcy Wretzky – bass
Jimmy Chamberlin – drums

Tracklist:
Disc one – Dawn to Dusk
  1. "Mellon Collie and the Infinite Sadness" – 2:52
  2. "Tonight, Tonight" – 4:14
  3. "Jellybelly" – 3:01
  4. "Zero" – 2:41
  5. "Here Is No Why" – 3:45
  6. "Bullet with Butterfly Wings" – 4:18
  7. "To Forgive" – 4:17
  8. "Fuck You (An Ode to No One)" – 4:51
  9. "Love" – 4:21
  10. "Cupid de Locke" – 2:50
  11. "Galapogos" – 4:47
  12. "Muzzle" – 3:44
  13. "Porcelina of the Vast Oceans" – 9:21
  14. "Take Me Down" (Iha) – 2:52
Disc two – Twilight to Starlight
  1. "Where Boys Fear to Tread" – 4:22
  2. "Bodies" – 4:12
  3. "Thirty-Three" – 4:10
  4. "In the Arms of Sleep" – 4:12
  5. "1979" – 4:25
  6. "Tales of a Scorched Earth" – 3:46
  7. "Thru the Eyes of Ruby" – 7:38
  8. "Stumbleine" – 2:54
  9. "X.Y.U." – 7:07
  10. "We Only Come Out at Night" – 4:05
  11. "Beautiful" – 4:18
  12. "Lily (My One and Only)" – 3:31
  13. "By Starlight" – 4:48
  14. "Farewell and Goodnight" (Corgan/Iha) – 4:22
Lo si consideri capolavoro o no, questo è certamente l'ultimo doppio album di importanza che calca le pagine della storia del rock negli ultimi 20 anni, in un epoca in cui band come i The Cure e Red Hot Chili Peppers si videro respinte le loro richieste, dalle case discografiche preoccupate per un possibile suicidio commerciale. Ma la Virgin è furba, ha ben inteso la strada che il Grunge ha preso dopo la morte di Cobain, e quanto Siamese Dreams abbia colpito la generazione , e decide di rischiare, a posteriori non si può non dedicar loro un plauso. Perchè non basta solo un Corgan in stato di grazia ispirativa per sfornare una cinquantina di pezzi efficaci (l'altra metà andrà nel cofanetto a fine 1996 , e in buona parte chiamarle Bsides sembra molto più che riduttivo ) , una situazione più distesa tra i due ex amanti alle corde e un Jimmy nel suo ultimo periodo sereno prima del fattaccio. Il lasciapassare è importante. Il poter contare su uno studio di registrazione proprio su cui concentrare ben 3 tipologie di demo, massima gestione dell'artwork e la possibilità di scegliersi il produttore che si preferisce. Flood è certamente unestroso produttore, ha collaborato sia con N.I.N che Pantera e Depeche Mode, qui gli vien chiesto di fare un lavoro che dividerà un po' critica e fans. Lavorando ad un suono sporco, poco dinamico ,ove il compressore deve far di tutto per non distorcere, tagliando le frequenze . In parole povere, gli strumenti vengono registrati uno sull'altro e poi sparati insieme, divertendosi a far disperare il vostro equalizzatore dello stereo.
Il primo disco ci invita soavemente a scendere giù nel crepuscolo, scivolando morbidi in un suadente piano , melodicamente dolce e vellutato. Per portarci prima tra le carezze sinfoniche di “Tonight, Tonight” (quante volte abbiamo sentito poi quel'arpeggio in una strofa pop/punk?) le grinfie della cinica “Bullet With Butterfly Wings” , vero inno generazionale post Seattle, graffiante nel ritornello oramai ultracelebre. Singoli più che perfetti. Il quartetto conserva ancora una ferocia disillusa notevole degli episodi precedenti . Ma stavolta è solo una delle sue anime del risultato artistico. L'altra è squisitamente sognante e poeticamente struggente, “Cupid De Locke” sembra lievitare nell' aria in attesa di posarsi nel nostro udito. Soluzioni poi più floydiane, in favore di un climax emotivo (“Galapagos” ) o della ballata introspettiva che sboccia come interprete delle proprie liriche (“To Forgive”):

“holding back the fool again
I forget to forget me
I forget to forget you see
nothing is important to me “

Passando poi il microfono a Iha, la sua “Take Me Down” è indubbiamente figlia della splendida timidezza così vicina al talento di Nick Drake, Romanticismo sonoro di gran classe. La melanconia non è mai risultata così fascinosa nella sua semplicità. Ma James è piuma quanto lametta, interprete efficace di rasoiate come “Zero”. Capolavoro insito già nel titolo. Nel suo nichilismo sputato acidamente sulle piste della traccia, rifframa memorabile che si stampa in testa al mezzo ascolto.

My reflection
dirty mirror
there's no connection
to myself
I'm your lover, I'm your zero
I'm the face in your dreams of glass “

i riflettori passano giustamente allora in rassegna anche alla parte più hard del disco, “Jellybelly” rappresenta tre minuti di asciutto rock 90's zozzo dal ritornello accattivante. “An Ode To No One” sforna un po' di cattiveria nel mitra delle proprie corde assassine e una nonmelodia graffiante.
Il sound è fresco e leggermente più ruffiano dei sogni siamesi , “Muzzle” sarebbe un ottimo esempio di rock Aor con stampo efficace e il giusto tiro. Come “Here Is No Why” srebbe ancora oggi capace di assalire con successo le radio FM delle nostre automobili senza troppi problemi. Power Chords sfruttati come Dio comanda insomma. Forse l'unico pezzo che davvero avrebbe potuto far posto al lungo elenco di Outtake, è proprio “Love” , aspra ma un gradino sotto alle altre composizioni . Contando un songwriting che si permette anche il lusso per una suite ibride tra l'alternativee la psichedelia ( “Porcelina Of The Vast Oceans” ) e un tocco di Jane's Addiction
Twilight To Starlight è invece il secondo disco, presentato acidamente tra il mare distorsivo di “Where Boys Fear to Tread” e le sassate sui tom, tra le più sabbathiche del lavoro sicuramente. Assieme alla monolitica devastazione violenta di Ex Why You . Pesantissimo schiacciasassi retto su un riff paranoico e le esplosioni nervose di Corgan , fuori da ogni metrica vocale, con i suoi latrati , urla e intimidazioni schizoide. Un pelino troppo lunga, ma da vivere nel suo mood apocalitticamente incazzato. Altra benzina per le pedaliere del duo chitarristico è “Bodies” , catalizzatore di rabbia certamente non repressa, quel “Love's Suicide” gira intorno all'ascoltatore come uno spirito da esorcizzare in fretta. “Tales of a Scorched Earth” è un altra bordata incendiaria che usufruisce della produzione , diventando un cazzotto di pietra in un guanto di carta vetrata dritto in viso.
Ma anche in questo settore, il bilanciamento sentimentale è presto riequilibrato, tenera e leggiadra si mostra “Thirty-Three” , ove persino la voce sgraziata di Bil sembra tramutarsi in un crooner. Le inquietudini di “1979” invece conservano il legame che l'artista ha con uno dei suoi guru New Wave preferiti dell'adolescenza (Robert Smith) , con la tipica canzone pop perfetta della metà degli anni 80, ed entrambe le citate saranno poi i restanti singoli infatti. Rappresentando poi bene l'amalgama dell' opera in se. “In the Arms of Sleep” riporta brevemente ad echi cari a Gish , con un pizzico di sogni in più sulla punta delle accordature. Da aggiungere a “Stumbleine” tra gli episodi più tristi e riflessivi, nonché spogli di arrangiamenti eccessivamente barocchi. Tra i diversivi del disco possiamo ricordare la buffa (e forse evitabile ) “We Only Come Out at Night” a scopo semipariodistico (di se stessi?) e la sorprendente “Lily (My One and Only)” , sottovalutata ma da un appeal retrò di gran classe, per qualche attimo l'immaginazione lavora anche un contesto da locale anni 40 da cabaret . In molti preferiranno forse il primo disco, ma la differenza non è poi molta qualitativamente parlando, questo però possiede un fare più coraggioso semmai, “Beautiful” l'avrebbero scritta i Japan di Tin Drum e la zuccherosa “By Starlight” , che avrebbe solo bisogno di un assolo per sbocciare nella sua maturità. Ma i brividi non tardano ad arrivare ancora, dopo 27 canzoni , l'ultimo dono è la buonanotte più gradita, la band si divide le strofe dell'incantata “Farewell and Goodnight” , il quale testo è superiore ad ogni mio commento interpretativo:

Buonanotte, a ogni piccola ora in cui dormi

Possa sostenerti durante l'inverno di una lunga notte
E salvarti dalla tua solitudine
Il cuore legato è il tuo cuore consumato e vuoto
Perchè è dura, quando nessuno comprende il tuo amore
Non è celebrato, e io dico
Buonanotte, amore mio, ad ogni ora di ogni giorno
Buonanotte, sempre, a tutto ciò che c'è di puro nel tuo cuore
Buonanotte, possano i tuoi sogni essere così felici
Testa leggera con gli auguri di un uomo di sabbia e una luce notturna
Stai attenta non lasciare dormire le cimici strette ai tuoi lenzuoli
Il sole splende ma io no
Una pioggia argentea laverà via
E tu potrai distinguere, per capire che è lo stesso
Buonanotte, amore mio, ad ogni ora di ogni giorno
Buonanotte, sempre, a tutto ciò che c'è di puro nel tuo cuore

la melodia prosegue il suo cammino verso le prime note del disco, il legame è sancito e il disco riposa, e noi infatuati, mostriamo ed esso il nostro più sentito e duraturo “Arrivederci” .
Arte.

Gidan Razorblade

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venerdì 13 febbraio 2009

Smashing Pumpkins - Siamese Dream (1993)


Anno: 1993
Etichetta: Virgin Records

Tracklist:
1. Cherub Rock
2. Quiet
3. Today
4. Hummer
5. Rocket
6. Disarm
7. Soma
8. Geek U.S.A.
9. Mayonaise
10. Spaceboy
11. Silverfuck
12. Sweet Sweet
13. Luna

Incastonato com'è tra le prove generali di successo di Gish e il titanico Mellon Collie, Siamese Dream è un po' la chiave di volta della prima parte di carriera degli Smashing Pumpkins. Un album delicato ed esplosivo allo stesso tempo: ti accarezza con la sua mano gelida cullandoti fra le splendide melodie, per poi colpirti diretto alla bocca dello stomaco con improvvise eruzioni chittaristiche.
Dal duo Corgan+Chamberlain coadiuvato da Butch Vig (in assenza, almeno all'inizio delle registrazioni, dei separati in casa Iha e D'Arcy) sgorga musica di classe cristallina, come da una fresca fonte di acqua montana. In questi zampilli c'è tutto il rock degli ultimi 15 anni: dal primo metal, all'hardcore, dal nascente grunge allo shoegaze. Un mix di adrenalina e morfina perfettamente bilanciato per stordire l'ascoltatore. Il trittico iniziale -Cherub Rock, Quiet, Today- mette subito le cose in chiaro: sezione ritmica granitica, chitarrismo distorto e corrosivo e la voce di Corgan in bilico fra zuccherose melodie e acide aggresioni vocali. Il solco iniziale è tracciato. Hummer e Rocket abbassano solo un poco il ritmo, stendendo un tappeto rosso per l'entrata di Disarm: un episodio fra più toccanti nella discografia delle zucche. Con quelle esplosioni di archi che ti scavano sotto la pelle diverrà ben presto una delle canzoni simbolo degli anni 90, risultando però un brano piuttosto a sè stante nell'economia di Siamese Dream.
Se Soma e soprattutto Geek USA riportano il suono dei nostri sui binari di un rock-hardcore ultradistorto, Mayonaise e Spaceboy ci portano per mano attraverso i voli pindarici di Corgan&co.
Siamo ormai pronti per il gran finale. La potenza sonica di Silverfuck aspetta dietro l'angolo, alzando un'onda d'urto che lascia distesi a terra, tramortiti e sanguinanti. Solo la dolcezza di Sweet Sweet e Luna possono medicare le ferite lasciate dall'ascolto di un disco del genere, tra i capisaldi del rock dello scorso decennio. E il meglio doveva ancora arrivare.

KG

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mercoledì 11 febbraio 2009

Smashing Pumpkins - Gish (1991)


Anno: 1991
Etichetta: Caroline Records

Line Up:
Billy Corgan – vocals, guitar, producer
James Iha – guitar, vocals
D'arcy Wretzky – bass, vocals, layouts
Jimmy Chamberlin – drums

Tracklist:
  1. "I Am One" – 4:07
  2. "Siva" – 4:20
  3. "Rhinoceros" – 6:32
  4. "Bury Me" – 4:48
  5. "Crush" – 3:35
  6. "Suffer" – 5:11
  7. "Snail" – 5:11
  8. "Tristessa" – 3:33
  9. "Window Paine" – 5:51
  10. "Daydream" / "I'm Going Crazy"– 3.08
"Love comes in colors I can't deny"

1991. L'anno in cui l' Alternative parte nel suo cammino d'emancipazione che snaturerà paradossalmente se stesso. Questo dischetto rimane lì, come un fossile a mostrare le tracce (o le cause? ) che finirono per infilare le Zucche nel calderone Grunge. Nonostante fossero di Chicago e destinati ad un percorso artistico diverso dai loro “colleghi”. La band non ha iniziato a imbracciare gli strumenti per salire sul carro dei vincitori, anzi, han seguito un evoluzione artistica coerente anche nei primi anni lontani dai riflettori, tanto da veder sacrificati dei pezzi come There it Goes e Not Worth Asking , che avrebbero avuto un ottimo potenziale radiofonico .
Il lercio che emana dagli amplificatori di “Bury Me” parla tranquillamente da solo, più che riferimenti ai Nirvana, sono le radici comune con i Soundgarden ad avvicinarne il confronto chitarristico. Chiari sono le matrici Sabba/Zeppeliane , in quella furia metallica che si innesta alla timbrica sgraziata di Billy, una sorta di Punksters che prova a giocare con le melodie, riuscendoci appieno.
I Am One” racchiude bene la mappa sonora dei primi anni della band, strade opposte che si incrociano, basso pulsante (non lo sentiremo mai più così ) , una graffiante sei corde di base, e virtuosismi dal sapore Hendrixiano a tratti. Lasciandosi andare a qualche sana geometria sonora di gran stile. Il pop è una concessione che non snatura il vigore insomma, lo stesso singolo “Siva” passa come vagamente SonicYouthiano con divagazioni addirittura lisergiche. Sfornare buoni ritornelli sembra già essere il pane di Billy, che ne firma uno memorabile in “Rhinoceros” , ipnotico come pochi, che spinge sull'accelleratore nel proseguo dei sei minuti. Corgan sa mostrarsi discreto testimone adolescenziale per un decennio , una sorta di mix tra Smith e Morrisey , interpretante una consapevole solitudine da affrontare però a testa alta.


Do you ever wake up and find yourself alone?
Do you ever wake far from home?
What you believe
You'll wish to recieve
I won't believe in you
Tristessa

Recita quello che era stato il secondo 45 giri della band, cavalcante un riff ruvido che si stringe , serrandosi ulteriormente intorno a quella sensazione ispida che richiama il quartetto, passato per mesi sotto egide Hard Rock (Jane's Addiction ) che irrobustiscono anche ballate più vicine al folk come Snail, “lumacosa” appunto , ma con un Jimmy già dinnanzi i riflettori per la sua discreta tecnica. Lo si rivede appunto protagonista nell'atipica “Suffer” , ninnananna sbilenca , che mostra però i primi tratti sognanti che emergeranno nella musicalità del gruppo negli anni successivi. “Crush” ne è un altra dimostrazione, con un ottimo duetto di chitarre di stampo 60's . Ove la batteria tace e la mente torna alla fortuna a metà del padre del vocalist.
Certamente un disco pieno di momenti riflessivi, il vero sbocco rabbioso verrà vomitato nel disco successivo, ma questo lavoro resta una grande testimonianza a se per la fotografia che ci dona di una band agli esordi, già capace di sfornare un grande disco pieno degli elementi rock contemporanei, tra riff affilati di James e scorze di un metal spogliato di veri tecnicismi, oltre a momenti favolosi come la marcetta psicotica di Window Paine o il gioiellino Daydream , affresco stralunato e acustico di immensa grazia, che sfrutta anche il talento della giovane D'arcy con il violino. Forse la gemma più sottovalutata dei primi anni della band, posta in un cassetto che spesso persino gli stessi fans tendono ad aprire poco, nonostante sia ricco e attualmente inimitabile anche dal duo adesso rimasto superstite sulle scene.

Gidan Razorblade

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lunedì 9 febbraio 2009

Sigur Ros - Takk... (2005)


Anno: 2005
Etichetta: EMI

Tracklist:
Takk
Glòsoli
Hoppìpolla
Med Blodnasìr
Sè Lest
Saeglòpur
Milanò
Gong
Andvari
Svo Hljòtt
Heysatàn

Takk... ("Grazie...") ha un compito difficile, ovvero quello di bissare il successo del precedente ( ), che ha più volte indotto i critici ad utilizzare il termine "capolavoro", cosa che non accadeva da diverso tempo in ambito Pop. Anche se è riduttivo parlare di Pop in questi casi: potrebbe invece non essere fuori luogo il termine "arte", vista la complessità, sia a livello compositivo che a livello lirico, che sono capaci di dare i Sigur Ròs ai loro lavori. Testi che, dopo la parentesi in "hopelandic" di ( ), tornano ad essere scritti in islandese, fatta eccezione per alcuni passaggi. Le liriche, quindi, sono nuovamente parte intergrante della musica di Jònsi Birgisson e compagni, assieme anche al ritorno di veri e propri titoli per le canzoni. L'artwork ci trasporta, ancora prima di mettere il disco nello stereo, nei paesaggi incredibili che saranno poi la vera linea conduttrice di tutti i pezzi di Takk..., un disco sognante ma più ragionato rispetto a ( ); non solo, anche i toni sembrano più distesi: se nel lavoro precedente a farla da padrone era la malinconia, a partire proprio dall'artwork, in Takk... si riscontrano sensazioni differenti, poichè non è più soltanto l'inverno ad essere "disegnato" attraverso la musica, ma iniziano a farsi strada anche suoni più primaverili, che donano quindi un tocco finale di speranza al lavoro, forse anche più presente della malinconia.
Prima dell'uscita del disco, i timori da parte di pubblico e critica specializzata erano tanti: è opinione diffusa quella secondo cui una band che passa ad una major, uscendo di fatto dal circuito underground, possa arrivare ad una banalizzazione della propria musica, commercializzandosi, per via delle grandi aspettative che vengono riposte in essa a livello di mercato. Effettivamente c'era qualche timore anche da parte mia, che seguo i Sigur Ròs sin dal loro esordio. Tuttavia, questa mia passione mi aveva portato a fidarmi di Jònsi, personaggio tanto strano quanto incredibilmente carismatico: magari non volutamente, ma attraverso le sue opere ci ha fatto provare così tante emozioni, che è lecito aspettarsi sempre il meglio da lui. Così i nostri si sono impegnati a fondo nella realizzazione di questo nuovo lavoro. Nel corso di tre anni, passati a suonare in giro per il mondo, hanno scritto le undici canzoni che compongono questo Takk..., proponendone peraltro alcune, in anteprima e in versioni non definitive, nei loro concerti.
Dopo la title-track, perfetta opener in stile Sigur Ròs, si passa subito al primo singolo estratto da Takk...: trattasi di Glosoli, che narra la storia di un bambino che si risveglia nell'oscurità e, colto dal timore per l'improvvisa scomparsa del sole, parte alla sua ricerca; lo ritroverà lì, in cielo, dove è sempre stato. Questo è probabilmente il pezzo che richiama maggiormente i vecchi lavori del gruppo (che, tra l'altro, viene ancora supportato dal quartetto d'archi Amina): il tipico pathos che ci porta a provare smarrimento e disperazione, che dipinge paesaggi invernali dall'atmosfera magica e incantata, per poi aiutarci a ritrovare la speranza, quel forte sentimento che domina tutto il disco. Così, come il bambino finalmente ritrova il sole, noi ritroviamo la speranza. Nel finale della canzone torna la quiete, come se finalmente si spegnessero tutte le nostre preoccupazioni. A destarci ci pensa Hoppìpolla, filastrocca tanto semplice quanto geniale nella sua emotività, accompagnata da ariose aperture orchestrali. Il coro leggiadro di Med Blodnasìr ricorda per certi versi Agaetis Byrjun, mentre Sè Lest è la più propriamente folk dell'intero lavoro, arricchita nel finale da un inserto di fiati davvero ottimo. Saeglòpur è un pezzo romanticissimo che, attraverso il suo lento crescendo, ci porta a visitare immobili paesaggi nordici, per poi dissolversi nel finale, proprio come la precedente. L'intro di pianoforte è, probabilmente, il più riuscito dell'intero lavoro. Milanò, che era già stata proposta in vari concerti del gruppo, seppur con nette variazioni, risulta forse un po' prolissa, ma non per questo noiosa: questa volta veniamo avvolti da una sensazione molto romantica, grazie al cantato intimista di Birgisson, uno dei punti forti dell'album. Un paio di repentine impennate armoniche ci riportano, a tratti, nella realtà. Gong, anch'essa già suonata in varie date live, è la più diretta, nonchè la più ritmata, e potrebbe tranquillamente trovar posto nell'esordio della band. Andvari è un altro magnifico episodio: eterea, pacata ed intimista, dominata dagli archi, fa da preludio, assieme a Svohljòtt (psichedelica con richiami alla Pink Floyd), alla conclusiva Heysatàn: una vera e propria - dolcissima ed emozionante - ninnananna. Dopo le tante tempeste emozionali che ci hanno travolto nei pezzi precedenti, Heysatàn sembra essere l'unico momento di quiete, la "quiete dopo la tempesta", appunto, come si suol dire. Il cantato davvero sofferto ci coinvolge e ci porta verso un finale dilatato che ci lascia in sospeso, a bocca aperta.
In sostanza, Takk... può essere considerato la summa del percorso musicale intrapreso dai Sigur Ròs sin dagli esordi, ovvero la sperimentazione mai fine a sè stessa, ma volta a far provare emozioni sempre nuove all'ascoltatore. Jònsi Birgisson e compagni, quindi, in questo caso non si sono ripetuti come si temeva, ma si sono evoluti notevolmente, almeno rispetto a ( ). Come già spiegato in precedenza, la malinconia e la tristezza del capolavoro, datato 2002, non sono state del tutto rimpiazzate, anzi, hanno ancora un ruolo importante, ma sono state affiancate a sentimenti di speranza e, a tratti, anche di allegria: se dovessimo dunque fare un paragone con le stagioni, direi che ( ) sia accostabile pienamente all'inverno, mentre Takk... alla primavera. La musica dei Sigur Ròs, insomma, riesce ancora una volta a "toccare corde profonde dell'anima", come disse lo stesso Jònsi. Takk... rimane un gradino sotto ( ), forse il vero capolavoro della band, ma risulta, ancora una volta, magico ed emozionante.

Alpha

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domenica 8 febbraio 2009

Radiohead - In Rainbows (2007)


Anno: 2007
Etichetta: /

Line Up:
Thom Yorke - vocals, guitar, piano, various electronics
Jonny Greenwood - guitar, ondes martenot, keyboards, programming,
modular synthesizer, sequencer, celeste, string arrangements
Colin Greenwood - bass, sequencer
Ed O'Brien - guitar, backing vocals
Phil Selway - drums, programming

Tracklist:
  1. "15 Step" – 3:57
  2. "Bodysnatchers" – 4:02
  3. "Nude" – 4:15
  4. "Weird Fishes/Arpeggi" – 5:18
  5. "All I Need" – 3:48
  6. "Faust Arp" – 2:09
  7. "Reckoner" – 4:50
  8. "House of Cards" – 5:28
  9. "Jigsaw Falling into Place" – 4:08
  10. "Videotape" – 4:39
Combattere con il processo tecnologico. è dispendioso già per la comune persona ( stiamo tutti leggendo qui, da un Pc che al momento dell'acquisto poteva anche essere appena uscito di fabbrica, ma dopo pochi mesi, tramutarsi in superato ) , figuriamoci per un artista. Nato davanti un registratore a 4 piste, facendo il porta a porta con le case discografiche con la cassettina in mano. Niente Myspace, Last Fm, passaparola forummistici. Direi proprio di no. Le informazioni semmai in viaggio settimanale per le riviste di maggior rilievo, attendendo una recensione e un passaparola dei lettori. It's Evolution, Baby. C'è chi lo impara con il proprio figlio , altri a prezzo più amaro. Gente come loro, che quattro anni fa, si videro circolare in rete il loro lavoro non ancora ultimato, mesi prima della data di uscita ufficiale. Un classico, tipiche esternazione, ne sono pieni i giornali . Da portare alla vera paranoia gli artisti, che oramai negano i esclusive alle webzine, concedono ascolti con password o tramite delle cuffie da un portatile portato con la riservatezza di una valigetta di 007. Ognuno sceglie la sua strada, a seconda di ciò che puoi permetterti , dal seguito che ti sei saputo portar dietro. Il rischio non è solo materia per gente consapevole dei suoi mezzi, ma di chi se lo può permettere. Nel 1997 , ci voleva un discone in pieno decennio alternative per poi avvicinarsi a sonorità vicine alla warp records e dunque dimostrare di aver del fegato, poi Hail To The Thrief, ciò che in molti han chiamato “la sommatoria” della carriera fino a quel momento, perchè questa non è solo una band che sa creare, ma impara. Anche in fretta. Imparando dagli errori dell'ultimo disco, prendono un unico promo cd , e non scelgono una rivista, lo inviano al mondo. Il prezzo all'arte lo decidiamo noi. E in una data , ritiri ciò che ti spetta. Mp3 di media qualità, nessun artwork ne scontrino. Differenze dal consueto?nessuna, ma stavolta l'han deciso loro. Meno soldi nel seminar, ma i frutti son tutti postumi, la scelta che incuriosisce è da sempre la migliore arma di mercato, come i tour , la vera fonte di guadagno per le band, l'unica sconfitta è l'etichetta. Trionfa la band, il pubblico e soprattutto il disco. Che non finirà certo per essere ricordato più della scelta promozionale storica (per una band di questa levatura, sia chiaro, il gesto in se non è il rpimo in assoluto, basti pensare agli Anathema un anno fa ). “15 Step” schiude le porte dell'arcobaleno, brillante di un sole africano , rivestito da una ritmica elettronica eccezionale, atipico per la band, i primi vagiti di Colin alle 4 corde, lasciano intendere come questo sia il disco della sua miglior performance. Greenwood a furia di occuparsi di compilation Dub, ha anche acquistato diverse nozioni in materia, a giudicar dal riff di “House Of Cards” , lisergicamente poi dilatato tra un mare di cori 60's e tastiere syntate magicamente, ascoltarle in successione è importante per scoprire come il Groove sia una delle novità nel loro sound in evoluzione e quanto Phil Selway non sia certo un mantenuto di lusso in un collettivo dotato di ottima amalgama quanto d'intuizioni. La ricetta è già svelata insomma, due ingredienti complessamente semplici, ben impastati nel songwriting e lasciati lievitare su piccole sfumature deliziose da cogliere di nuove ad ogni ascolto. “Bodysnatchers” e il sound dei sempre poco citati Warsaw , dal giro sporco ; evoluta da una strofa irresistibilmente melodica , per poi ritornare in un assalto alla Sonic Youth, creando un perverso schema di cofusione/lucidità/confusione , con il tiro giusto e un Tom quasi Roker!

I SEE THEM COMIN'
I SEE THEM COMIN'

Ce ne eravamo già accorti a dire il vero, dal vortice di reverse della successiva “Nude” , a varcar la soglia di brividi , in un mood melanconico , guidato dal profondo falsetto del vocalist , delicatamente sensuale come una placida onda marina, in tempistica r&b in un intreccio di chitarre, archi e organo, trampolini di lancio per quel finale emozionante come pochi, e come tanti, nella loro carriera:

So don't get any big ideas,
They're not going to happen

You'll go to hell for what your dirty mind is thinking

Quell ultima parola è l'esplosione di un capolavoro annunciato, avvertito nello scorrere dei secondi con sempre più convinzione dal primo ascolto.
Weird Fishes/Arpeggi” qualcuno la definirebbe di animo prog, non inteso come tecnicismi in se, ma ricercatezza sonora nella composizione , la batteria suonata all'ether , prontamente stoppata a metà, per poi ricominciare , ricombaciando l'inizio in un cerchio perfetto, dominato appunto da pochi accordi suonati ossessivamente e tenuti in primo piano assieme alle strofe. Johnny ancora dimostra il suo talento, simulando addirittura un mellotron con il solo uso di feedback filtrato. Dettagli, impercettibili sfumature che diversificano oggetti e persone, che in contesti così puramente artistici, diventano vere chiavi di lettura.

I’m the next act
Waiting in the wings
I’m an animal
Trapped in your hot car
I am all the days that you choose to ignore

You are all I need
You’re all I need
I’m in the middle of your picture
Lying in the reeds

I am a moth
Who justs wants to share your light
I’m just an insect
Trying to get out of the dark

dritto al cuore, come se le frasi fossero dipinte nello sguardo pronte ad essere lette, la piena personificazione di un bisogno. “ All I Need” appunto. Ennesimo capolavoro sfornato in un climax sognante e per nulla scontato, rifugge dall'assolo che ti aspetteresti, affidando agli impetuosi piatti , il conto di affondare il colpo, in sublime contrasto con tastiere sciolte su due sezioni, piano e morbido carillon incantato.
Faust Arp” è un intermezzo acustico con inserti sinfonici di gran classe e sovraincisioni vocali, un velo di timidezza Drakeano sulle 6 corde e vola via rapida . “Reckoner” racchiude in se non solo un altro pezzo di gran caratura , nel suo fraseggio percussionistico portato avanti a mò di riff e una chitarra “frusciantesca” ( il richiamo a “To Record Only Water For Ten Days") , ma anche una suggestiva immagine, celata tra i canali stereo nelle pause dal falsettato:
"because we separate like ripples on a black shore"
si scontra con la seconda voce , citante il titolo del disco. ( “in rainbows” )
L'immagine che evoca, mostra una riva corrotta dal petrolio, tra le onde, che come è noto agiscono sulla macchia nera, scomponendo la luce, e formando appunto gli arcobaleni. Tutto da l'impressione di tornare perfettamente nell'orbita di questo progetto, persino “Jigsaw Falling Into Place” rappresenta il prototipo del singolo ideale di cui ogni band rock vorrebbe disporre. Melodia incalzante, motivetto catchy, diviso in più sezioni da non stancare nonostante entri in testa inesorabilmente, con un crescendo inarrestabile
Chi aveva sentito “ Videotape” nelle preview live avrà poi sussultato, nel sentirla posta come congedo del disco. Svuotata musicalmente per riempirne di significato , saggia mossa. Piano in conflitto con una batteria volutamente fuoritempo a simolare un battito inquieto. L'echeggiar degli ultimi vagiti sonori, verran catturati per il secondo disco, e rimarranno lì, come un fantasma a vegliare sul materiale integrativo che la band ci ha proposto. Ma l' opera che ho ritenuto Giudicare, si ferma qui. In veste falsamente umile ( perchè, per i fanatici dei dettagli, ci sarebbe da far impazzire un terzo occhio, provare per credere : due indizi, ascoltare l'opener come l'esperimento kid a, cioè a mettendo due tracce della canzone a 17 secondi di ritardo l' una dall'altra,o ascoltando la finale In Reverse ) e per ciò che è stato presentato nel nudo di icone per una cartella. Dieci files. A Voi il moltiplicarsi delle emozioni.

Gidan Razorblade

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