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giovedì 19 marzo 2009

Black Sabbath - Paranoid (1970)


Anno: 1970

Etichetta: Vertigo/Warner Bros

Tracklist:
1. War Pigs/Luke's Wall - 7:58
2. Paranoid - 2:52
3. Planet Caravan - 4:35
4. Iron Man - 5:58
5. Electric Funeral - 4:52
6. Hand of Doom - 7:09
7. Rat Salad - 2:30
8. Jack the Stripper/Fairies Wear Boots - 6:14

Dopo l’
Esordio i Black Sabbath tornano con un album ancora più denso, ancora più compatto, indubbiamente più potente, e anche per questo, più famoso, nonché più celebrato non solo dalle vendite ma anche dalla storia, che vede in questo manifesto dell’inquietudine, intitolato appunto “Paranoid” un punto di riferimento per l’hard rock, ma anche per l’heavy metal, che si può tranquillamente far nascere in questa sede, anche se parlare di heavy metal soltanto è estremamente riduttivo, visto che qua siamo già oltre il metal, ne abbracciamo già le diverse diramazioni e influenze alle quali questo movimento opterà in futuro, magari suggerendo l’idea che tutto era già stato scritto o predetto in questo disco, dal doom al glam, allo stoner alle tendenze medievali o epiche, senza contare la perfetta fusione tra rock pesante, swing, jazz, tutto in un continuo saliscendi corposo, che va da momenti d’atmosfera, ad esplosioni soniche che sembrano fare il verso ad una catastrofe nucleare, una primitivissima guerra del futuro, un annientamento sottile e “freddo”, una apocalisse calma e lenta, che non si manifesta ma è già dentro di noi, o si manifesta da sempre e noi stiamo già dall’altra parte, nel mondo dei morti, e non c’è scampo e non c’è speranza, perché ormai il nostro destino è segnato. Il primo tema l’ho già introdotto: la guerra, quella dei porci di “War Pigs”, gli altri non sono altro che la conferma di quanto visto con l’esordio, ossia l’idea di vivere morendo, o di morire per vivere, insomma il problema della morte come spunto per una serie di suggestioni (più che riflessioni vere e proprie) fatte con la musica. Espressionismo musicale dissimulato in forme apparentemente ferree e solide, che sono solo una apparente e rassicurante impalcatura per tutta una serie di vicende musicali convulse e toccanti, che invece di dare risposte come altri tipi di proposte musicali di quegli anni, pongono problemi, ma lo fanno senza domande (ne vere e proprie ne retoriche; qua di retorico non c’è nulla), semplicemente evocando stati d’animo e pensieri (lugubri, disgustosi, oppure enigmatici… spirituali?). I suoni sono importanti, perché sono degli impulsi per l’ascoltatore; in questo senso il pulsare maniacale e viscerale del basso di Butler, che sembrano far vibrare e scuotere la terra è l’elemento primario su cui si costruisce la piramide del sound Sabbathiano, forse meno di quanto non lo fosse nell’esordio, ma sempre fondamentale, sempre assolutamente ritmico e percussivo, come deve essere questa musica, orientata alla stagnazione e al dissanguamento della melodia, distrutta e cadaverizzata, e in questo c’è la complicità di Ward, batterista dallo stile e dalla tecnica impareggiabili nella capacità di unificare da una parte esigenze atmosferiche (degne della musica da colonne sonore) a volte nebulose e dilatate e a volte dense e irte di metallo e pezzi di vetro macinato, e dall’altra parte ritmi sempre sopra le righe, spesso sfiorando solipsismi anche estranei alla cultura del rock, che anche quando non sfociano nell’assolo che accentra l’intero pezzo, sono capaci di decorare anche i monoliti pachidermici della chitarra di Iommi; quest’ultimo è il terzo gradino della piramide del suono Sabbathiano, una chitarra che ha fatto scuola, ha fatto la storia ed è diventata leggenda, non per le sue melodie ma per la sua capacità di rallentare e cadenzare il suono, aprendo squarci ritmici, come se non interessasse affatto dare corpo alla canzone, ma solo infiltrarsi nel tessuto ritmico e sgranarlo, quasi volesse fare dei crepacci nel terreno, o smottamenti irrimediabili, per vedere quanto è bello schiantare dei massi giganteschi e pericolosi su un suono già rumoroso per conto suo. Sul vertice della piramide c’è Ozzy, notevolmente cresciuto in questo secondo disco, sempre sgraziato e melodrammatico, ma ora più cantilenante che mai, quasi bambinesco a volte, le sue sembrano filastrocche infantili, e non per questo meno nere e malvage, anzi forse proprio per questo ancora più perverse, preannunciando non solo una serie di immagini del bambino associato al demonio, molto comuni nella musica e nella cinematografia horror degli anni 70 e oltre, ma anche capaci di preannunciare alcune delle grandi idee epocali e rivoluzionarie dei Korn (la cantilena, l’infantilismo, la morbosità dell’infanzia e il peccato originale…). L’album è coeso, un macigno di idee una più vincente dell’altra, nulla è lasciato al caso, nulla sfugge dall’attento controllo di una band scrupolosa e cosciente di essere all’apice della sua rivoluzione nella storia della musica. È il 1970, ma ci vorranno decenni per riuscire nell’esegesi e nell’interpretazione delle gesta musicali dei Black Sabbath. Ora voglio passare velocemente in rassegna alcuni dei momenti più interessanti di “Paranoid”, naturalmente senza nessuna ambizione di esaustività o sistematicità.

WAR PIGS --- questa doveva essere la title track, ma la casa discografica decise di optare per un titolo meno forte, il più “neutro” ‘Paranoid’. Ovvio che si tratti del pezzo che simboleggia in concreto tutto l’album, a livello di tematiche e non solo. Se l’esordio vedeva come tema portante l’essoterismo, il secondo album è invece il proseguimento logico del pezzo con cui i Black Sabbath avevano chiuso il primo capitolo, “Wicked World”, perché anche qua le tematiche horror sono solo una metafora astratta della realtà storica vissuta dalla band, che in “War Pigs” viene fuori liberamente e in modo esplicito, fuori da ogni finzione scenica. Il testo parla chiaro, tanto che non c’è bisogno di interpretazioni:

Generals gathered in their masses
Just like witches at black masses
Evil minds that plot destruction
Sorcerers of death's construction
In the fields the bodies burning
As the war machine keeps turning
Death and hatred to mankind
Poisoning their brainwashed minds, oh lord yeah!
Politicians hide themselves away
They only started the war
Why should they go out to fight?
They leave that role to the poor

I parallelismi con l'immaginario gotico-orrorifico sono sempre presenti, come si può vedere, ma la cosa più interessante è l'introduzione del tema dell'alterazione mentale, la "ipnosi di massa" (tema ripreso dal classico dei Sepultura), nonchè del motivo politico, che fa del brano in questione, una vera e propria canzone di protesta; una protesta che invece di mostrare un mondo alternativo fatto di pace & amore, illustra il paradosso, mostra spietatamente il destino di questa umanità, scopre a tutte la barbarie, la rende esplicita, attraverso una musica che ne incorpora la violenza e il primitivismo. Così come questo mondo devastato dalla guerra sembra regredire, allo stesso modo la musica riporta l'ascoltatore in uno status primigeneo dove le persone di combattono tra loro senza pietà; i versi emessi dalla chitarra di Iommi sembrano veramente sirene che chiamano alle armi(come la sirena campionata nell'introduzione del brano), o richiami di mammut inferociti, lo scalpitio animalesco è reso alla perfezione da Ward, alla batteria. A colpire è l'alternanza tra momenti in cui si simula l'ipnosi e momenti di furia, tra ripetitività sfiancante e cambi repentini e ancor più inaspettati, assoli fantastici che segneranno un'era e saranno patrimonio di tutta la storia della musica successiva. Ritmiche tra il tribalismo e le fredde geometrie, e squarci chitarristici disumani, come la guerra, versi da animali, come quei porci, i politici che tagliano a fette il mondo e dividono le nazioni su cartine geografiche, senza porsi altri problemi, salvo quello di armare la gente e lasciare che vada a morire nel modo più vecchio e assurdo che esista, ossia la lotta per il territorio.

PARANOID --- si tratta di un pezzo molto breve, che svolge il compit(in)o di "Evil Woman" nell'album precedente: si tratta di un singoletto che sembra una cosa a se rispetto al resto dell'album, un riempitivo inserito per motivare il nuovo titolo del disco probabilmente, una canzoncina bella dura e birichina da lanciare in classifica, per aprire la strada al disco, da prendere e trascinare nelle vendite. Infatti furono venduti milioni di copie in tutto il mondo, che fecero guadagnare cinque dischi di platino nel Regno Unito e quattro negli USA. è vero che si tratta di un brano scoordinato rispetto agli altri e piuttosto disimpegnato, ma la sua enorme fama non è poi così immeritata, visto che si tratta pur sempre di un brano che ha concorso pesantemente alla formazione del suono "metallico", per il suo ritmo regolare e incalzante, nonchè per uno dei riff più geniali e imitati di tutta la storia.

PLANET CARAVAN --- riassume ciò che nel disco precedente era disseminato un po ovunque, ossia l'amore della band per il blues. Quattro minuti e mezzo soltanto, per un brano blues e psichedelico con pochi rivali degni di tale nome, perchè in poco e con una agilità imbarazzante mette a KO tanti gruppi psych rock sia attuali sia del glorioso passato. Una psichedelia oscura e malata completamente dimenticata dai tanti cloni dei Black Sabbath e poi recuperata solo negli anni 90, e neanche da tutti, troppo impegnati ad approfondire e appesantire il versante metallico dei Sabs, che evidentemente sono stati anche altro, e questa ballata sta a dimostrarlo, con uno straordinario tappeto di percussioni leggere e sfumate, che ripropone un Ward ancora una volta diverso, dopo i virtuosismi vistosi di "War Pigs" e dopo le ampie pennellate veloci e pesanti di "Paranoid". Iommi e Butler si intrecciano e si incrociano sfiorandosi e accarezzando il suolo senza mai calcare la mano, e qua sembra veramente di avere a che fare con una band completamente diversa da quella ascoltata fin ora; una chitarra pulita e sognante, una voce fioca e distante, che compare lentamente e poi si disgrega allo stesso modo, tutte tecniche che faranno la fortuna di tutto il rock psichedelico passato e presente, dagli Ash Ra Tempel ai Los Natas. Con questo non dico che il rock psichedelico sia nato con questa canzone, che evidentemente sarebbe assurdo, voglio solo sottolineare l'unicità del pezzo nel repertorio dei Black Sabbath e allo stesso tempo la sua eccellenza anche in relazione al resto della musica che c'era stata prima e che c'è stata dopo. Il testo è una ode allucinata al viaggio spaziale:

We sail through endless skies
Stars shine like eyes
The black night sighs
The moon in silver trees
Falls down in tears
Light of the night
The earth, a purple blaze
Of sapphire haze
In orbit always
While down below the trees
Bathed in cool breeze
Silver starlight breaks down the night
And so we pass on by the crimson eye
Of great god Mars
As we travel the universe

IRON MAN --- già dall'inizio è un cataclisma. la voce di Ozzy è distorta e metallica. il riff di Iommi è la cosa più futuristica e meccanomorfa mai partorita fino a quei tempi da un musicista rock. è l'inizio di una nuova era, suggestionata dall'immaginario robotico e artificiale, il tempo delle guerre spaziali e delle odissee nello spazio, e se "Planet Caravan" ne rappresenta il lato psichedelico, questo pezzo ne carpisce il lato metallico e tecnocratico, che verrà ripreso praticamente da tutti, nel metal, suggestionati in un senso o nell'altro dalle tecnologie, anche quando l'aspirazione luddista sarà il fine ultimo, come nei Godflesh o negli Helmet (e i loro derivati), senza contare tutto il thrash metal degli anni 80. Tecnicamente, uno dei pezzi più formidabili dei Black Sabbath, anche grazie ad una parte di batteria che unisce varietà, estro e potenza in modo perfetto, vuoi perchè è il più metallico di tutto il loro periodo "classico", vuoi perchè qua c'è uno Iommi che suona come una turbina a pieno regime, freddissimo e distorto, un impianto industriale intero in un solo strumento. Incredibile pensare che è lo stesso chitarrista di "Planet Caravan".

ELECTRIC FUNERAL --- ancora un grande pezzo, fatto di refrain martellanti e progressioni al fulmicotone; il contenuto è più che mai apocalittico:

Dying world of radiation, victims of mad frustration
Burning globe of oxy'n fire, like electric funeral pyre
Buildings crashing down to a cracking ground
Rivers turn to wood, ice melting to flood
Earth lies in death bed, clouds cry water dead
Tearing life away, here's the burning pay
Riemerge il tema della tecnologia che prende piede e del pianeta che lentamente si spegne.

And so in the sky shines the electric eye
Supernatural king takes earth under his wing
Heaven's golden chorus sings, Hell's angels flap their wings
Evil souls fall to Hell, ever trapped in burning cells!

La grande guerra atomica è la paura che aleggia costantemente nei testi, con riferimenti talvolta velati, altre volte come in questo caso molto chiari, al difuori di ogni finzione scenica e poetica.

HAND OF DOOM --- l'elefantiasi della chitarra di Iommi raggiunge livelli impressionanti, sia nell'andatura, quel ritmo lentissimo e lesionato da momenti di silenzio o di quiete improvvisa prima del disturbo bipolare e relativo schizzo con wah wah che simula una bestia feroce. "bipolare" è l'aggettivo più appropriato per un pezzo che serve appunto da anello di congiunzione tra il ritratto psicologico, sociologio e politico di una generazione intera. "bipolare" è questo brano, sospeso tra sonorità estreme e diverse. "bipolare" è anche un disturbo, e di disturbi si parla in questo pezzo.

First it was the bomb, Vietnam napalm
Disillusioning, you push the needle in
From life you escape, reality's that way
Colours in your mind satisfy your time
Altro che satanismo. La band parla chiaro. C'è tutto un collegamento tra malessere, disillusione, e la presa di coscienza del declino di questa civiltà. La guerra in Vietnam. Viene introdotto il tema delle droghe, la fuga dalla realtà. A questo punto molte cose diventano più chiare, ache la stessa "Planet Caravan", e quel viaggio che si dimostra solo una fuga, un modo per evadere, per colorare una realtà grigia e senza speranze. Infatti i colori vividi sono una costante di quel pezzo.

Oh you, you know you must be blind
To do something like this
Inizia l'invettiva.

So drop the acid pill, don't stop to think now
Il messaggio è tutto contro l'alienazione del pensiero. "Non smettere di pensare adesso". E l'esortazione a lasciar perdere gli acidi.

RAT SALAD --- è una allegra jam strumentale che mastica ancora le ambientazioni dei brani precedenti, ma dove tutti gli strumenti lasciano spazio a Bill Ward che incide la sua Moby Dick, un assolo di batteria che è un saggio del suo stile e delle sue grandi capacità. FAIRIES WEAR BOOTS --- funziona come una specie di marcia militare, un incubo descritto alla perfezione, non solo a parole ma anche in musica, che vuole riprendere l'andatura anonima, maligna e "da branco" di un gruppo di ragazzi neonazisti descritti come "fate con gli stivali". Ma il pezzo non è un semplice proclama antinazista(c'è solo una vaga presa per culo di queste sottospecie di imitazioni di squadristi), il suo bersaglio è tutt'altro: il tema del pezzo è la paranoia, le manie di persecuzione quindi e gli effetti delle droghe allucinogene, che finiscono col ghettizzare e isolare chi le consuma in una prigione di follia e di incubo in cui tutto sembra poterti uccidere ed essere un potenziale assassino. Ora acquista tutt'un altro senso la title track e quel ritornello che ha portato in vetta alle classifiche i Black Sabbath.

Can you help me, occupy my brain?

Emerge allora un piano di lettura doppio, e nuove problematiche: si tratta di un album sul terrore della guerra o di un album sugli effetti collaterali della dipendenza dalle droghe? o forse che le due cose sono collegate? quella "paranoia" a cosa è dovuta? quella sensazione che i Black Sabbath ripropongono continuamente non è forse solo una richiesta di aiuto più che un messaggio contro le droghe? quel verso animalesco, quel grido di terrore forse non è un monito, non contiene nessuna morale e nessun tipo di insegnamento forse... che tutto questo sia solo un album di confessione? che tutto questo sia una riflessione, un lungo monologo in cui la band racconta di se a se stessa e al mondo per espiare i propri peccati ed esorcizzare il male che c'è in lei e cacciare via le proprie paure? che la guerra e i conflitti in generale siano solo una immagine astratta del vero conflitto, quello dell'uomo e della sua forza di volontà contro la dipendenza dalle droghe? se cambia il punto di vista e proviamo a riascoltare il disco dopo questa conclusiva "Fairies Wear Boots" tutto sembra diverso, tutto assume una valenza confessoria e riporta l'ascoltatore a domande e problemi ancora pià pesanti, che non potranno che essere affrontati ancora, nei capitoli successivi.

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John

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