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Based on a work at rockedintorni.blogspot.com. .: Black Sabbath - Master Of Reality (1971)

sabato 21 marzo 2009

Black Sabbath - Master Of Reality (1971)



Anno: 1971

Etichetta: Vertigo


Tracklist:

1. Sweet Leaf - 5:02

2. After Forever - 5:25 (Iommi)
3. Embryo - 0:30 (Iommi)
4. Children of the Grave - 5:15

5. Orchid - 2:00 (Iommi)

6. Lord of This World - 4:55
7. Solitude - 5:02

8. Into the Void - 3:08


Nessuno sapeva, nel 1971, che i Black Sabbath, in sole due mosse (1 e 2) avevano (già) cambiato il futuro della musica, o forse qualcuno poteva già intuirlo, ma nessuno poteva immaginare quello che avremmo avuto dopo, e chi dei Black Sabbath prenderà proprio quell'inconfondibile sound lento e pesante (leggasi Doom) marcato dai riff mastodontici di Tony Iommi; chi ne coglierà il lato più duro e ne tirerà fuori quello che passerà alla storia come heavy metal; chi sarà suggestionato dagli scenari bucolici e crepuscolari, che all'interno dell'LP di Master Of Reality si materializzano in una immagine buia dove la band si mimetizza e si fonde nella natura, una figura brulla e oscura, sembianze sinistre, nonchè l'inizio di tutta una iconografia musicale che dei boschi e di certe atmosfere farà un vero e proprio punto di riferimento (e ben presto pure un clichè). Nessuno sapeva che Master Of Reality, senza rilasciare singoli, e senza avere canzoncine apripista facili facili come Evil Woman o Paranoid, avrebbe sbancato nelle vendite, con la stessa, indentica formula vincente dei due album precedenti ma senza concessioni commerciali, il gruppo ormai si era presentato alle masse dei teenager europei ed era già un culto, ed ora torna con un album ancora più incazzato, ancora più urgente dei precedenti, che si apre proprio con un colpo di tosse di Iommy, affogato dal fumo, ma metallico, una specie di ripresa dell'androide di Iron Man, una apertura grezza, con un riff tra i più grezzi, essenziali e copiati della storia, rappresentativo di un album meno fine del precedente, semplificato nelle forme, e con canzoni estremamente più concentrate sia nella durata, sia nella struttura, rese in questo modo più tozze e monolitiche. Nessuno sapeva che ribassando l'accordatura della chitarra e del basso di tre semitoni, non solo Master Of Reality avrebbe portato nel mondo della musica le canzoni più cupe mai concepite fino a quei tempi, ma avrebbe tracciato un sentiero sicuro per generazioni di musicisti ispirati da quel ribassamento per spingere sempre più in la la musica pesante, dall'hard rock dei Kyuss, al metal dei Meshuggah; in altre parole, questo tuffo in basso di Geezer Butler e Tony Iommi fu una specie di tentativo di esplorare territori vergini per la musica (blues) pesante (infatti Master Of Reality fu l'album in cui la band si affranca definitivamente dalle sue origini hard-blues), una specie di faccia oscura della Luna, un lato misterioso e tutto nuovo, una realtà inedita, che qua, per la prima volta si dispiega al mondo, una sorta di liberazione, come si dice in Sweet Leaf, tutto è più chiaro, tutto appare nella sua interezza, finalmente il mondo appare nella sua autenticità, e la chiave per accedere alla verità non può che essere uno strumento che oblitera l'uomo da tutti quei lacci e stringhe, uno strumento di liberazione sensoriale, appunto la dolce foglia; ma la liberazione non è solo nei sensi, ma pure nello spirito, come suggerisce la tagliente critica di After Forever, che propone la liberazione dalla speranza di una vita eterna infinitamente più giusta in favore di una vita finita ma vera e -forse- veramente migliore, se solo si prova a migliorare hic et nunc, e non in una fantozziana attesa infinita e indeterminata di una ipotetica giustizia e uguaglianza che non ci sarà mai. Children Of The Grave riprende il concetto senza mezzi termini, ma con un imperativo vero e proprio: uagnun, mo sentite sto fatto, se volete vivere in un mondo migliore, tiratevi su le maniche (e fuori le palle) e fate vedere che un mondo diverso c'è già e sopravvive (alla minaccia del nucleare, al terrore diffuro e al panico di massa indotto), se no, voi stessi, ragazzi miei, siete già nella cassa. Un messaggio sempre valido e sempre attuale, un inno generazionale a non trasformarsi in persone che vivono già nella tomba, ancor prima di morire. Il motivo del viaggio di Planet Caravan è ripreso in Into The Void, classico pezzo sulla voglia di fuga dal mondo di menti plagiate e inquinamento, l'unico modo per sfuggire al suicidio generale, un mondo corroso dalla guerra, fatta da quei soliti porci figli di Satana, padroni di questo mondo; allora il messaggio conclusivo è: lascia questo mondo in pasto al demonio, lascia queste persone al loro futuro nella tomba (che è già presente), e ricostruisci un posto d'amore. Questo è il messaggio programmatico di Master Of Reality, un messaggio sociale al dilà di tutta la metafora delle droghe, del fumo e tutto il resto. Ma Master Of Reality non è solo il disco "rivoluzionario" e "pesante", è anche un album fatto da episodi tra i più sensibili e raffinati tra le composizioni acustiche di Iommi, la breve e strumentale Orchid , che è un groviglio di due chitarre acustiche che si avvitano una sull'altra, allentate, naturalmente, e l'effetto è straniante, diverso comunque dall'austerità medievale dei pochi secondi di Embryo, che simula un violoncello, e la malinconica Solitude, momenti di riflessione e di cedimento, in un certo senso, in un disco che, come vediamo, non esista a mostrare un lato più fragile dei quattro di Birmingham; quest'ultima è un lentissimo con sola chitarra pizzicata tanto che sembra quasi nascondersi, fare capolino ogni tanto e ritirarsi nell'atmosfera così ovattata nella quale vibrano i toni bassisimi di Butler e la canna del flauto, suonato sempre da Iommi che, da buon polistrumentista che è e che si dimostrerà soprattutto in futuro, suona anche il piano, tutto per cinque intensissimi minuti in cui sembra quasi di trattenere il respiro, prima che tutta questa atmosfera venga poi squarciata dalle mazzate di Into The Void, un susseguirsi di barriti feroci così densi da essere praticamente inespugnabili e impenetrabili, firmati dal riffmaker che forse è il più influente della storia, sicuramente, il più influente del genere, che ha saputo dettar legge dagli emulatori-rielaboratori come i Cathedral ad altri artisti più o meno distanti che hanno citato questo pezzo, come gli Slayer in South Of Heaven o coverizzato, come Soundgarden e Kyuss, naturalmente come tributo per l'infinita ispirazione che il brano ha saputo dare, non solo per quella lenta e inesorabile cavalcata meccanica, robotica, estremamente fredda, ma anche per quel senso di infinita oppressione e soffocamento che è tipico del pezzo, la cui solida unità si scompone solo nel finale, tra le sciabolate solistiche di Iommi, più simili al rombo di un motore che a musica, ma questo è solo un inizio, di tutto un filone che non farà altro che simulare la macchina in musica, dagli Hawkwind, ai Motorhead ai Metallica ai Ministry. Un disco ricchissimo di riff indimenticabili, meno brillante sugli assoli forse, ma questo fa parte del gioco, infatti certe punte di ego sono state prese e smussate rispetto al passato, un favore di un sound più compatto e spartano, ma ciò non toglie a Iommi l'occasione per fare un lavoro bellissimo, specie nell'assolo di Lord Of This World, inaspettatamente molto melodico, specie nella parte finale, dove si intreccia con uno scalcitante Butler, sempre più cupo, sempre più potente, ma il massimo della portata distorsiva dell'accoppiata Iommi/Butler lo si trova nella grezzissima Sweet Leaf, emblematica dell'escamotage tecnico della band, e del trucchetto per trucidare la canzone in un pestaggio di suoni, sempre più tombali e disumani, che fanno rabbrividire quando sono più statici e fanno venire il voltastomaco nelle accelerazioni, in cui non è l'istrione e (sempre più) sgraziato Ozzy a trascinare la band, ma invece il mai abbastanza amato Butler, che ha saputo tessere le migliori atmosfere sabbathiane, grazie poi alle dinamiche imprevedibili, per certi versi progressive di Ward, che alla batteria in certi intermezzi fa dei lavori di grande pregio, come proprio in Sweet Leaf, ma del resto sa anche stare al posto suo, per poi fare prepotentemente la differenza, col suo stile in Children Of The Grave, dove Ozzy e Iommi ringhiano e nel frattempo il ritmo tribale dell'ultima tribù pre-disastro-nucleare annuncia l'apocalisse sotto le bacchette di un Ward tanto dinamico quanto capace di inscenare passaggi drammatici degni delle migliori soundtrack cinematografiche. E non a caso, anche il sussurro finale della canzone sarà usato nel cinema horror oltre a diventare una specie di tormentone da concerto, per uno dei brani più eseguiti e acclamati nella storia della band. Ma il pezzo che guarda più avanti di tutti, è After Forever una specie di War Pigs accelerata con un Butler che tra basso e sintetizzatore sa dare un volto inquietante al pezzo, un galoppo nel quale ogni zoccolo solca il terreno con quell'aggressività e con quella profondità che solo un Butler più gommoso e molle che mai poteva arrivare, per un pezzo ha una velocità e una dirompenza che sono praticamente già nel mondo dell'heavy metal. Nessuno poteva saperlo, ma ora che lo sappiamo, possiamo gradire o non gradire, è solo questione di gusti, ma non possiamo di certo esserne indifferenti.

John

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