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martedì 24 febbraio 2009

Tv on the radio - Return to cookie mountain (2006)

Giustifica
Anno: 2006
Etichetta: Interscope Records

Tracklist:
1. I Was A Lover
2. Hours
3. Province
4. Playhouses
5. Wolf Like Me
6. A Method
7. Let The Devil In
8. Dirtywhirl
9. Blues From Down Here
10. Tonight
11. Wash The Day

Premessa:
La domanda più difficile a cui mi sia capitato di rispondere, parlando dei Tv on the radio, è stata sicuramente: “Ma che genere fanno?” . Come se fosse necessario etichettare un gruppo, vincolarlo ad una categoria per invogliare l’ascoltare a dargli una chances. Ed io non so rispondere di botto, con una sola etichetta/genere/ categoria/specie: i tv on the radio sono sostanzialmente un gruppo (afro)americano che si diverte a buttare dentro il proprio calderone un po’ di tutto: rock, blues, elettronica, indie, alternative, gospel, r n’b, qualche accenno di post-punk (che non guasta mai, quel gusto per la musica di classe degli anni’80) ed un mood in cui tutti sono sia polistrumentisti sia vocalisti. Abbiamo una certa stabilità nel ruolo all’interno della band, ma da una canzone all’altra il cantante viene affiancato da altre due o tre voci, spesso queste sono corali.

Il disco:
Return to cookie mountain è riuscito nell’impresa di accontentare diverse tipologie di palato: dal popolo del blues, ai patiti di ambient, a coloro che amano lo shoegazing, alla tradizione “nera” fino agli indieani (coloro che ascoltano indie) che non disdegnano le melodie ed i brani mainstream.
I was a lover: inizia con un beat incrociato con qualche effetto ben assestato, qualche riverbero ripetuto ed una cadenza che è dimessa, quasi ad intensificare il senso della canzone, il tutto mentre si ode un piano in lontananza; “io ero un amante, prima di questa guerra”, così recita il cantante nelle prime battute del brano, un conflitto sia fisico che spirituale, il cui unico scopo è allontanare la pace e trasformarci, eliminare ogni traccia di bellezza e di sentimentalismo, come se la pace fosse un crimine. E’ una litania impolverata, che dà l’idea di un uomo affetto dalla crisi di mezza età che guarda le proprie mani e si chiede che fine abbia fatto, consolato dalla scoperta che ha raggiunto una maturità e non ha perso i ricordi.
Hours: la struttura è particolare, perché la medesima strofa viene ripetuta contemporaneamente da due voci diverse, una più baritonale ed una più acuta, mentre dietro il basso e la batteria costruiscono un soffice e corposo letto su cui adagiare il tutto. La band al completo esegue acrobazie vocali, quasi tutte fungono da melodia regina, da seguire come il filo di Arianna per evadere da una realtà sporca e infausta.
Province: vede la partecipazione in fase vocale-compositiva del duca bianco, sir David Bowie. Qui ziggy stardust è un valore aggiunto, un contrappeso con la sua voce più grave rispetto agli acuti (in certi punti anche femminili, oserei dire) del cantante, mentre il pianoforte e le pelli sorreggono l’intera impalcatura, in pieno stile blues-ambient. Non saprei dire se si tratti di un piano a coda, o di un pianoforte modificato con l’aggiunta di campanelli o di vibrafoni, fatto stà che l’insieme è stupendo e molto godibile.
Playhouses: digital ambient ed elettronica, la batteria spesso sia avvicina ad una drum machine, e le voci sono registrate contemporaneamente su più piste, come una ragnatela su cui veniamo catturati e rimaniamo impassibili, si ferma ogni attività del nostro organismo, a parte un lieve movimento della testa, cercando di andare a tempo.
Wolf like me: primo singolo estratto, personalmente la ritengo miglior canzone dell’intero 2006. Non riesco a descriverla, sono troppo di parte: guardatevi il video e poi vediamo se non siete d’accordo. L’ho detto che parla di licantropia? Beh, grossomodo si.
A method: sicuramente tra le più toccanti ed emotive di tutto il full –lenght, dove la spiritualità si fonde con la parte più passionale e sensibile della nostra anima; tutta la matrice gospel-blues, si riversa all’interno della canzone, sfiorando vette di altissima fattura.
Let the devil in: silenzio…una persona che fischia nella nebbia, intona una melodia con fare religioso, il tutto si trasforma in una marcia del sentimento, in cui al posto della batteria e delle percussioni ci sono gli strumenti più antichi del mondo: le mani e la voce. E’ un canto apotropaico, atto a scacciare i propri demoni interni.
Dirty whirlwind: altra traccia abbastanza simile alla precendente, ma qui abbiamo al posto deli battiti sincoronizzati delle mani, i tamburelli ed il pianoforte.
Blues from down here: ossia come prendere un brano blues e traslarlo su una base elettronica, continuata, indie e tremendamente distorta , dove il feedback tipico dello shoegaze regna sovrano.
Tonight: è un grido di ribellione che si alza verso il cielo, aiutato dagli amplificatori portati al volume massimo, in un turbinio di suoni che strizzano l’occhio al noise.
Wash the day: conclude il disco, ed un pò dispiace che sia finito. Ma allo stesso tempo siamo sicuri che questo secondo lavoro del gruppo di Brooklin sia solo l’ennesimo passo verso il capolavoro assoluto che li consacrerà ai posteri.

Sgabrioz

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