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Based on a work at rockedintorni.blogspot.com. .: R.E.M. - Automatic For The People (1992)

mercoledì 4 febbraio 2009

R.E.M. - Automatic For The People (1992)


Anno: 1992
Etichetta: Warner Bros

Line Up:
Michael Stipe – voce
Peter Buck – chitarra
Mike Mills – basso
Bill Berry – batteria

Tracklist:
1. Drive
2. Try not to breathe
3. The sidewinder sleeps tonite
4. Everybody hurts
5. New Orleans instrumental no.1
6. Sweetness follows
7. Monty got a raw deal
8. Ignoreland
9. Star me kitten
10. Man on the moon
11. Nightswimming
12. Find the river

Ho sempre ritenuto Automatic For The People uno degli album più heavy della storia. intendiamoci, per heavy non intendo "rumorosi", perchè è chiaro che non è quella la pesantezza che intendo, ma voglio sottolineare l'intensità e la potenza di questa collezione di pezzi, uno più sofferto dell'altro, tutti legati da un alone di freddezza-calore che contrappone una intimità piena di dissidio a una linearità formale invidiabile, che poi è stata (e resta) uno degli ideali di songwriting rock d'autore (scusate l'ossimoro, ma è storia questa) più riusciti, più sentiti, più copiati, e più tipici del nostro tempo.
Gli REM sono ora distanti dallo spartano bagno di rigore e sentimento delle origini, passato ormai il periodo "indipendente", e rotto il ghiaccio col mondo dei media (passati sotto major con il "verde" e sempreverde "Green") e dei verdoni (il successone di "Out Of Time" era ancora vicinisismo), il garage rock, il folk e le spruzzate post punk vengono lasciate alle spalle, e se in passato si guardava spesso ai Byrds e a Bob Dylan, ora il fine ultimo dell'opera compositiva degli REM è una ballata melo-malinconica dai toni orchestrali (attenzione perchè le sovraincisioni orchestrali sono di John Paul Jones... ricordate i Led Zeppelin?), come mettere un abito da sera ad una puttana tossica presa dalla peggior bettola d'america, e il risultato è la miglior educolorazione della Generazione X che sia mai stata realizzata. I temi sono quelli della generazione di cui si fanno padri putativi (o cugini più grandi), ma i toni sono già maturi e freddi, nerissimi, non meno dei colleghi più sbilanciati, ma organizzati in modo classico-drammatico, e quindi il risultato è l'imperturbabilità e la fissità di uno sguardo trasformato in musica. In questo senso l' educolorante di cui parlavo prima, non è un modo per dissimulare questo o quel contenuto, ma una chiave per rendere ancora più evidente la grossa finzione che c'è nella vita di tutti i giorni, l'inerzia, l'incomunicabilità, l'impossibilità di movimento, l'incapacità di decidere e di schiodarsi dalla propria situazione, e di uscire dal proprio mondo. Tutto galleggia e basta.
Ovviamente sotto un punto di vista opposto, se è vero che il verde di "Green" era il colore dei dollari, e "Out Of Time" si getta a braccia aperte sul mercato, questo "Automatic For The People" non è altro che l'imborghesimento che arriva fin dentro il nucleo dell'emotività della band, anche oltre i ritornelli vincenti del disco precedente. Se non che anche gli stessi REM anche questa volta non riservano battute sulla loro popolarità e sull'impatto col pubblico di massa (e relative contraddizioni con fan di lunga data), infatti "...For the people" sdrammatizza e mette le mani avanti sin dal titolo.
La produzione è in pompa magna, e in pompa magna sono gli arrangiamenti, alla faccia del "Murmur", come in "Out Of Time", solo che in quest'ultimo la stratificazione di strumenti era una festa, qua invece è un'orchestra che suona mentre il Titanic affonda, ed è così che si presenta il crescendo di "Drive", che poi non cresce mica, resta sospesa tra soste e ripartenze, Buck gioca a nascondino e a fare il camaleonte, per poi venir fuori con un colpo di coda nel bridge, proprio quando gli archi arrivano al momento di climax drammatico più alto. In realtà il pezzo è sull'immobilismo. Si intitola "Drive" ma parla di cose che non si muovono e non hanno nessun tipo di impulso dal mondo. A posteriori, poteva essere una gran bella soundtrack per "Ecce Bombo" di Nanni Moretti, ossia quel film-acquario dove tutti annunciano (o abbozzano) timidi programmi, per poi nemmeno provare a far niente, e si bloccano nel guardare la realtà come fosse un quadro, una cosa che non sppartiene a chi guarda, e alla fine le persone di guardano come fossero reciprocamente appiattiti al muro e incorniciati.
Il tema della morte, del tempo che passa, del salto degli stadi della propria vita diventa nodale in una delle canzoni manifesto del disco, nonchè la mia preferita, "Try To Not Breath", se non altro per le insuperabili armonie vocali dell'asse Stipe - Mills, con Buck che esce allo scoperto con una delle sue partiture acustiche da lacrimazione facile, e il risultato è una ballata malinconica sull'inabissamento. C'è un uomo anziano che non vuole più essere di ingombro per un mondo che lo fa sentire superfluo e disadattato. Ma il tema della canzone non è quello dell'emarginazione,e se è per questo, non centra nulla nemmeno la senilità, ma il fatto di aver vissuto un'epoca, e di essere ormai giunti al capolinea.
Questi occhi sono gli occhi di un vecchio, tremolanti e piegati
Tenterò di trattenere il respiro
Questa è una mia decisione. Ho avuto una vita piena
e questi sono gli occhi che voglio che tu ricordi.
Anche se la cosa più suggestiva è il collegamento tra questo mondo e l'altro mondo, e qua subentra l'elemento della memoria:
Ho bisogno di qualcosa che voli ancora sopra la mia tomba
Ho bisogno di qualcosa per cui vivere
Stipe si misura con lo jodel in "The Sidewinder Sleeps Tonight", e a farla da padrona sono ancora gli archi (qua maestosi), persino in un pezzo come questo, che un po si distacca dal generele rallentamento dei ritmi che domina il disco. Il serpente è un simbolo di morte, di peccato, e anche qua non tarda a venire fuori l'anima nera del disco. Il testo è mordace e pungente, tra la quotidianità domestica e l'asprezza anti-amorosa, senza scadere nel volgare o rendere il tutto troppo prosaico.
"Everybody Hurts" è forse la più famosa delle canzoni in lista, ed è tra le più belle, una variazione soul orchestrale, una specie di calmante o una corda per tirare avanti, un appiglio dove aggrapparsi, perchè tutti soffrono, e la notte non dura per sempre. I voli di Stipe sono sempre più disinvolti e slanciati, vanno al dilà del tempo e dello spazio e trasformano questa in una poesia assoluta, che va bene sempre e per tutti, come dice il titolo stesso.
A questo punto lo strumentale serve quasi a fare una sosta, riflessivo, scarno, sommesso, eppure utile nell'economia del disco (non l'ho mai skippato, posso skippare due o tre pezzi ma questo non lo salto), e ci sarà un perchè. Che effettivamente l'album sia troppo pesante? Che la sovraproduzione sia ridondante e controproducente? Nel bene e nel male, gli REM di "Automatic For The People" sono anche questo.
"Sweetness follows" è terribilmente intensa e, se non altro per i feedback di chitarra di Buck, la componente più "rock" sembra riemergere nei toni, anche sopra le pompe dell'organo. Il tema è quello della perdita delle persone amate, e di quanto tutti siamo più insensibili di quanto pensiamo, come dirà qualcuno più avanti. Il discorso sull'insensibilità è di per se un espediente per rimandare all'idea di memoria, l'ultima speranza rimasta. Alla fine cosa resta? delle piccole vite, tutte distanti e sorde.
Montgomery Clift ispira "Monty's Got A New Deal" (dove mr Buck nell'intro classico e luminoso è geniale... senza contare le sfumature orientali del refrain), uno dei due pezzi più ritmati del disco, insieme a "Ignoreland"; la prima, una mostra di immagini di morte, la seconda, un invettiva politica sempre sulla sordità e sull'indifferenza, sulla falsità che ricopre l'informazione e offusca quelli che sono i problemi veri.
Questi bastardi hanno preso il loro potere dalle vittime degli anni "USA contro il resto del mondo"
Ce l'aveva con la politica repubblicana negli USA, che aveva tenuto banco per tutti gli anni 80, soli dieci anni che erano sembrati dilatarsi e non finire mai, quasi che non se ne potesse uscire vivi.
La spinta socialista è finita giù negli abissi
nel burrone spinta dalla teoria "trickle down"
Hanno ipnotizzato l'estate, nel 1979
Il capitale marcia covando propositi subdoli e abili, adatti per il mondo dei media
spietati, e griffati. Super cittadini USA, rampanti
cure di potenza extra. Relax
Difesa, difesa, difesa, difesa
Si passa per il tema della sicurezza, alle griffe, al boom economico e alla cavalcata del nuovo capitalismo. La teoria del "Trickle Down" è la teoria del gocciolamento, in pratica: coccolare le classi di persone più agiate affinchè a poco a poco i benefici possano gocciolare sul resto dei cittadini.
La TV dice un milione di bugie. Il giornale ha paura di riportare
ogni cosa che passa sul cucchiaio del presidente.
L'importante è che non ci sia ancora qualcuno che dice che "Automatic..." è l'album dell'intimismo. Anche se queste riflessioni che seguono, e la dialettica che c'è sotto è pur sempre intima e riflessiva, e lo scopo stesso della canzone è pur sempre personale, come si vede sotto...
Se non esistessero li avremmo creati noi. Può essere, è vero
Ma sono arrabbiato lo stesso. Qualcuno dovrà pur prendersi la responsabilità
so che tutto questo è vetriolo. Nessuna soluzione, uno sfogo
Ma mi sento meglio ora che ho urlato, e tu?
...se non che, il chiaro invito "e tu", lancia comunque un invito. Un brano politico quindi, in tutti i sensi. Forse molto più che in passato, vista la diffusione che ha avuto il disco.
Manifesto del sesso più edonistico e senza implicazioni sentimentali è "Star Me Kitten", ove star sta per ***** (che sono stelline), infatti il pezzo doveva intitolarsi "Fuck Me Kitten". Non una brusca interruzione ad un disco che non lascia spazio alla speranza, ma proprio il frutto della mancanza di speranza, e che toglie al sesso qualsiasi spiraglio verso qualcosa che non sia solo carnale. è come dire che non c'è uscita, da nessuna parte. Musicalmente un punto morto, un artificioso punto morto che porta alla crisi vera e propria; appare chiaro che il limite dell'album è il suo carattere "mediato" ove in passato era stata l'immediatezza a fare la fortuna degli REM; le canzoni purtroppo finiscono per appesantirsi sotto una muraglia di espedienti più drammatici che musicali. A porre rimedio della fatica che alla lunga si fa, nell'ascolto, interviene l'ultimo lotto di canzoni, tutte notevolmente più leggere, e tutte fondamentali. Leggendaria "Man On The Moon", poi usata come soundtrack per l'omonimo film, è dedicata a quel comico che proprio non riusciva a far ridere la gente se non quando proprio non voleva. Ripesca quel folk rock scintillante di un paio d'album prima. Il risultato è da urlo, e Buck festeggia l'evento con una impennata solistica che sa di evento. "Nightswimming" evita tutta la traversata orchestrale (che un po è driblata e un po la mette all'angolo) e punta direttamente all'accoppiata voce-piano, con esiti miracolosi secondo me. Il pezzo era pronto sin dai tempi di "Green", ma evidentemente i tempi sono maturi solo ora. Si tratta di una ballata introspettiva-retrospettiva, riporta il registro della band alla naturalezza, per parlare di...naturalezza. La coerenza porta sempre buoni frutti, anche nella musica.
la fotografia sul cruscotto, scattata anni fa
capovolta in modo da riflettersi sul parabrezza
ogni lampione rivela la foto al contrario
ma ciononostante è così chiara
Ancora il tema della memoria, ma inutile interpretare, perchè ognuno di noi ha le sue "foto che si riflettono sul parabrezza".
Poi riparte il viaggio, in una notte d'estate, settembre stava arrivando, e non era mai troppo tardi per fare il bagno... tutto pennellato con fantasia e leggiadria nella canzone, tra orbite spaziali, giochi di luce e increspature dell'acqua. Ripensare a tutto questo, commuove.
La scomparsa del poeta John Seawright, ispira l'epitaffio acustico di "Find The River", capolavoro conclusivo.
Il fiume va verso l’oceano
Una fortuna per la risacca
...
La forza ed il coraggio
superano gli occhi stanchi e privilegiati
del poeta del fiume che cerca la semplicità
Sali qui e parti per il viaggio
Tutto questo sta venendo verso di te

John

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