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Based on a work at rockedintorni.blogspot.com. .: Green Carnation - The Acoustic Verses (2006)

mercoledì 14 gennaio 2009

Green Carnation - The Acoustic Verses (2006)


Anno: 2006

Etichetta: The End

Tracklist:
1.Sweet Leaf
2.The Burden Is Mine… Alone
3.Maybe?
4.Alone
5.9-29-045
6.Child's Play Part III
7.High Tide Waves

L'ultimo capitolo dei green carnation, sotto certi aspetti il migliore, già dal titolo esprime la sua specificità: si tratta dell'episdio più "diverso", atipico e singolare della discografia della band, la cosa più leggera mai suonata da Tchort, e allo stesso tempo la cosa più intensa, emozionante e diretta, e forse è proprio questo che fa di "The Acoustic Verses" un'opera che va ben oltre l'esperimento acustico di una band abituata a pestare duro, come lo può essere stato un "Origin" per i Borknagar, e anche il più famoso e brillante "Damnation" per gli Opeth; a mio avviso si tratta della più autentica espressione della band, nel senso che probabilmente solo in questo episodio i Green Carnation sono riusciti a liberarsi da quel macigno metallico che talvolta opprimeva e ingabbiava la ricerca innanzitutto comunicativa e poi anche stilistica di una band omrai concentrata sul collettivo e non più solo sulla figura di Tchort (anche se i cambi di line up sono sempre di casa).
Diversamente dai due album sopra citati, "The Acoustic Verses" non è ne folk in senso stretto ne progressive, è invece la più limpida manifestazione della semplicità, un album che quindi fa fatica ad essere apprezzato dal pubblico più attento al virtuosismo, e che può piacere molto a chi invece dalla musica cerca trasporto e calore. Un album quasi completamente acustico, canzoni delicate, leggerissime, eseguite come fossero state composte venti minuti prima, e quindi assolutamente fresche e istintive, molto vicine allo stile semplice ma non retrò degli Antimatter. Anche i testi sono più leggeri; i contenuti truci del passato della carriera dei GC vengono lasciati alle spalle, ed i testi sono ancora più lirici e onirici, come onirico è anche il senso di queste melodie morbide, trasparenti come l'acqua, canzoni vaporose, intense ma composte, semplici ma mai uguali tra loro.
Harstad in quest'album è l'uomo degli effetti, delle vibrazioni, e dell'atmosfera, a duettare con la sua slide, ci sono Tchort e Michael Krumins in veste esclusivamente acustica, delicati e leggeri come un uomo che attraversa una sottile lastra di ghiaccio; Krumins fa anche uso di theremin, che spesso è il valore aggiunto di questo sound contemporaneamente artico e caldo, come un blocco di chiaccio in fusione. Il vero affresco sonoro che avvolge l'impalcatura acustica è tutto ad opera di Leif Wiese (violino), Gustav Ekeberg (viola) e Bernt Andre Moen (violoncello).
Nordhus ed il polistrumentista Sordal guidano le liriche della band in questo affascinante viaggio musicale, con una interpretazione eccellente, miracolosa in The Burden Is Mine... Alone, un brano dai toni nostalgici, che parla proprio di perdita e di mancanza, e di senso di limitatezza; mentre ancora Sweet Leaf si sofferma sul rapporto dell'uomo con le proprie "origini"(la famiglia, il passato), e col suo destino. Questo inizio mi fa venire in mente una cosa tutt'altro che scandinava, tutt'altro che legata alla tradizione nordico-metallica, Give Us Barabbas dei Masters Of Reality, ossia una delicata e soave rilettura del blues/desert rock. Maybe? è un'altra perla romantica e visionaria, in primo piano c'è ancora voce e chirarra, tutto leggero e pulitissimo, anche quando si inseriscono theremin e pianoforte ad allargare le maglie sottili e fluttuanti della canzone. Come gli Arcturus, anche i GC si lasciano tentare dalle liriche di Edgar Allan Poe, e musicano Alone, in una versione molto folk, intrisa d'archi, mentre Childs Play -Part 3 verte tutta su una sonata di piano, e chiude con 3 minuti strumentali le prime due parti presenti nel precedente "The Quiet Offspring". 9-29-045, capolavoro assoluto, è una suite in tre parti, My Greater Cause, Homecoming e House of Cards, in cui chitarre acustiche si intrecciano magnificamente, tra arpeggi sognanti, aperture orchestrali, solistiche, e velatamente d'atmosfera e sintetiche, per poi tornare (con la terza parte, "House Of Cards") alle semplici melodie con in primo piano solo chitarra e voce, prima del finale corale, con una esplosione di percussioni e violino sul ritornello, che riapre i giochi, nel momento più solenne ed epico del disco.La chiusura è tutta del blues semiacustico orchestrale di High Tide Waves, con una straordinaria chiusura solista di Klumins sul finale. Alcune cose cambiano, altre restano le stesse, ma una volta che hai tirato la testa fuori dall'acqua, tutto ti sembra diverso.
JOHN

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