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Based on a work at rockedintorni.blogspot.com. .: 07/12/08

sabato 13 dicembre 2008

Death - Symbolic


Etichetta: Roadrunner
Anno: 1995

Line Up:
Chuck Schuldiner: Guitar, Vocals
Kelly Conlon: Bass
Bobby Koelble: Guitar
Gene Hoglan: Drums

Tracklist:
1.Symbolic
2.Zero Tolerance
3.Empty Words
4.Sacred Serenity
5.1,000 Eyes
6.Without Judgement
7.Crystal Mountain
8.Misanthrope
9.Perennial Quest

"...is a song about life...and is called The Symbolic...".
Un disco che parla della vita, un disco, che per il sottoscritto, è, la sua vita. Ritrovo me stesso ogni qualvolta rileggo le liriche di questo meraviglioso album. Un cosiddetto -evergreen- che non deve assolutamente mancare nella collezione di ogni amante della buona musica.
Era il 1995 quando uscì "Symbolic": utile sottolineare come, ancora per una volta, Chuck stravolse l'intero mondo del metal. Stavolta il grande chitarrista era affiancato da Bobby Koelble (ora nei Junkie Rush) e dall'ex-Monstrosity Kelly Conlon (ha suonato in "Millennium").
Sinceramente, ci fosse stato Steve DiGiorgio al basso sarebbe stato qualcosa più che un capolavoro. Non ho mai capito il perchè della scelta caduta su Bobby, forse per far conoscere le sue capacità a tutti, dato che faceva parte ancora dell'underground. Alla batteria, lui, Gene Hoglan, una bestia, sempre più tecnico, preciso e veloce. Il giro di chitarra della title-track, così come le parole, hanno fatto la storia. Stavolta il simbolismo (appunto!) viene espasperato fino all'inverosimile, incastrato sapientemente nelle musiche aperte mai quanto ora alla melodia più fresca.
"...Rivivo il dono di preziosi ricordi, nel bisogno di un dilemma chiamato innocenza..." è una frase che fa pensare non poco. Forse è un concetto che si getta interamente nel passato di Chuck (la morte del fratello?) o forse ancora, vuole far rivivere semplicemente i suoi ricordi. Fatto sta, che il disco è una continua rappresentazione simbolica, e tante volte, questi simboli sparsi nell'album non riescono ad essere interpretati pienamente.
Nella religione di oggi, secondo Schuldiner non c'è tolleranza. Nella prima parte della seconda traccia, queste parole lo sottolineano molto bene:
"...Facendo cattivo uso di una porzione di luce,
Mentre altri stanno dormendo e alcuni stanno fuggendo
Un serpente vomita un'immaginazione:
Blasfemia ingiustificata..."
Strofe molto pesanti, che mettono in LUCE, le radici molto spesso discutibili del mondo religioso.
"...Ci sarà tolleranza zero per il creatore di beate intenzioni
Ci sarà tolleranza zero: il destino è il tuo Dio che decide
Il Karma decade...".
La batteria di Hoglan sembra pestare proprio su queste persone con poca dignità, ed accompagna con sapiente forza, il cantato di Chuck: è un ritmo insolito. Sempre molto "pacato", ragionato, quadrato: "Individual Thought Patterns" era infuocato nel suo incedere, così come i precedenti dischi (soprattutto "Human") ma questo "Symbolic", è a metà strada tra l'eterea melodia, la tecnica sopraffina, e la brutalità tinta di bianco. Il secondo solo è ad opera di Koelble: diamine che lavoraccio! Chuck ci mette il suo, come sempre, ma Bobby entra nella trama intricatissima con un assolo più catchy.
E po il finale indimenticabile "Questo non è un gioco da perdere o vincere: lascia che giustizia sia fatta". Gli arpeggi sono fantastici, sembrano rappresentare la parte più malinconica del nostro chitarrista, mentre i riff più heavy, l'ego nascosto, quello che, come in ogni lavoro dei Death, si cala nelle vesti di un personaggio per raccontare una realtà non sempre manifestata totalmente.
Le promesse vuote sono quelle non mantenute, quelle che la gente getta nelle braccia del vento, per essere dimenticate in poco tempo:
Lacerando lo spirito: le promesse sono un potenziale da danneggiare
"...Qualcosa è reale? Quando per sempre deve essere fin nel profondo, nel mondo di parole vuote...
Nessuna fuga da quelle ossessionanti parole vuote...lo senti mai?
Un desiderio che è così forte da essere ritrovato attraverso i pensieri
Speranze che brillavano attraverso il dubbio che presto avrebbe voluto cambiare nel prezzo..."
Un arpeggio languido, oscuro, premonitore. Lontane percussioni che si dileguano nello spazio, e la cascata di riff che ti cadono come schiaffi che impartiscono severe lezioni senza tempo. Belli gli assoli, si intrecciano disegnando lo stesso percorso che sembra guidare i due protagonisti della cover del disco. I titoli affondano il proprio significato nell'artwork, dove possiamo notare la presenza della montagna di cristallo, così come dell'occhio (la quinta canzone) o della -possibile- sacra serenità che permea nel luogo.
Già, la serenità:
"...La serenità sa che è salva dalla distruzione del tempo
Forse possiamo fare un passo indietro e scoprire cosa ci conduce ad attaccare..."
Un'entità che non sparirà mai, un'entità forse nascosta in un posto lontano dal mondo, diverso da questi chilometri e chilometri unti soltanto di corruzione. Un possente lavoro alla batteria costituisce i primi secondi della canzone: introdotta una parte solista niente male, molto classica. Il pezzo lascia senza fiato nel finale, e lascia spazio alla bellissima "1000 Eyes". Un tiro thrash personalizzato a dovere dal ritornello, impossibile da non ricordare.
"...Privacy ed intimità come la conosciamo noi saranno solo un ricordo
Tra i molti da dimenticare per quelli che non hanno mai saputo
Vivere nella pupilla di 1000 occhi: ora veniamo schiavizzati..."
Sembra (a mio avviso) un dipinto dell'era moderna, quasi a voler ricalcare ciò che già Orwell aveva detto. Avvelenati come non mai i secondi da solista, che gettano di nuovo senza pietà, i ritmi veloci e thrasheggianti delle ritmiche della coppia Conlon/Schuldiner. "Symbolic" prosegue così, tra composizioni infiammate come "Misanthrope". Chuck in un'intervista affermò che il pezzo parlava della possibilità della specie umana di poter vivere fuori dalla Terra. Una natura misantropica che ben si esprime in queste righe:
"...Dall'alto e intorno, si collezionano osservazioni
Si acquista conoscenza da curiose forme di vita
Che possono portare speranza dall'aldilà..."
Veniamo al fiore all'occhiello. Emozioni allo stato pure in "Crystal Mountain", la metafora contro la religione, la montagna costruita su bugie ed inganni (lo dice anche nel LIVE IN L.A.)
"...Intrecciando i tuoi occhi per percepire tutto ciò che vuoi
Per imparare dall'ignoranza, infliggendo ferite con il tuo coltello rivoltato..."
Il viaggio finisce con la ricerca del significato della PROPRIO, vita. Attraverso un viaggio infinito, fatto di pericoli e di mistero.
Il pezzo è sicuramente uno dei più variegati dell'intero disco, così come è uno dei più lunghi (ben otto minuti). Un inizio monolitico, tempi emozionanti che si bruciano nell'aria, echi strazianti, ed un cambio di tempo tutto in quinta, arricchito dallo screaming "A hunger that will not go away!!!!!!!!!!". Finale acustico da brividi, e le sue parole che ancora ci pesano, ma ci fanno compagnia:
"...Il viaggio inizia con curiosità ed evolve in sentite domande sulle pietre su cui noi camminiamo
E scegliamo di fare il nostro percorso a volte senza mai sapere, altre volte sapendo troppo
Evitando il male che ci trattiene..."
C'è chi lo critica e chi lo rinnega, c'è chi lo adora e lo canta e suona a memoria: un disco che divide generazioni, ma è inevitabile: è il capolavoro degli anni '90. Un'altro dei tanti.
Grazie Chuck...

Davide Montoro

venerdì 12 dicembre 2008

Death - Individual Thought Patterns (1993)


Etichetta: Roadrunner
Anno: 1993

Line-up:
Chuck Schuldiner - vocals, guitars
Steve DiGiorgio - bass
Andy LaRocque - guitars
Gene Hoglan - drums

Tracklist:
01.Overactive Imagination
02.In Human Form
03.Jealousy
04.Trapped In A Corner
05.Nothing Is Everything
06.Mentally Blind
07.Individual Thought Patterns
08.Destiny
09.Out Of Touch
10.The Philosopher

Due anni dopo, rinnovata nuovamente la line-up, esce ITP. E' un altro capolavoro, che vede alla batteria Gene Hoglan (uno dei miei preferiti), Andy LaRoque preso in prestito da King Diamond (infatti le parti di chitarra verranno suonate in sede live da Craig Locicero dei Forbidden), e la conferma Steve DiGiorgio al basso. Le premesse sono ottime, le dieci canzoni anche, se si pensa che non c'è né un calo di tensione (e mai ce ne saranno!) nè un passaggio-filler (riempitivo, per i pochi). Chuck ci spiega i suoi schemi di pensiero...ma...cosa saranno poi questi schemi di cui parla nell'album? Nella title-track, sembra quasi volerci parlare di tutte quelle persone che si comportano da parassiti, verso i modi di pensare (appunto, gli schemi) altrui.
E quella copertina così misteriosa cosa vorrà significare? Fino a "Human" gli artworks erano stati sempre fin troppo chiari (perché, volete dire di no?lascia così tanto spazio all'immaginazione!), ma in ITP ci sono troppe incognite da ... risolvere. Questo lavoro eredita dal precedente, una cosa importante, e cioè le sonorità compresse e tirate. Certamente non come in "Human", bensì con un tiro più calibrato, ancor più tecnico (!!!) ed innovativo. Si, avete letto bene, innovativo. Parafrasando un noto disco, affermo spesso che Chuck rappresenta "A Saurceful Of Secrets": non finiamo mai di imparare dai suoi testi, scopriamo piccole cose che ci sfuggono, così come quando ascoltiamo la sua musica.
"Individual Thought Patterns" vanta un attacco al fulmicotone con la canzone "Overactive Imagination", una totale presa di posizione contro una cosa che il singer definiva una piaga, ovvero l'inganno.
"...Le tue bugie si diffondono da una parte all'altra del mondo come una piaga. Approfondendo l'arte dell'inganno..."
"Il tuo manoscritto sarà a corto di idee. La storia presto finirà.
Le persone in cui avere fiducia diminuiscono...".
Come sempre, egli non risparmia nessuno, non con chissà quale cattiveria di fondo. Lui diceva la verità, semplicemente. Il suo punto di vista. Leggere però questi testi fa capire che non sono semplici punti di vista. Quando mi capita di rileggerli mi distacco sempre da ciò che mi circonda, penso sempre che, è si il suo modo di pensare, ma diventa anche il mio, perchè sono affermazioni definite in un modo così semplice e speciale, che ti entrano subito nella mente. Inevitabilmente, il passo successivo è la passione verso questa band.
Un tocco epico, costituisce la seguente "In Human Form", dove le chitarre hanno un particolare suono, dal particolare gusto retrò (una cosa questa, che riscontro nel disco intero). Indispensabile a sorreggere "Jealousy" troviamo un testo tanto semplice (!) quanto efficace:
"...Lo stare dietro gli occhi è un luogo che nessuno riuscirà a toccare.
Contenendo pensieri che non possono essere portati via o rimpiazzati.
Tu vuoi ciò che non è tuo, Gelosia.
Tu vuoi ciò che non puoi avere, Gelosia..."
Molto complessa fin dall'inizio, un pezzo dove Hoglan e DiGiorgio si divertono a sfidarsi. Il primo a pestare violentemente e precisamente tra crash e grancassa, l'altro a disegnare linee di basso morbide e fluenti. LaRocque si sente eccome, il suo stile dimenticatelo sin dalla prima nota, perchè in questo ITP spara i suoi solos in modo ancora più allucinante, travestiti di una natura alquanto eterea.
Segue "Trapped In A Corner", che insieme a "Out Of Touch" costituisce a mio avviso il punto alto del capo-lavoro.
"...Voglio vederti annegare nelle tue bugie,
la fine della tua finzione, una questione di tempo,
bugie che interagiscono, dominio, controllo,
nutrire la sua natura contorta:
è rivoltante vedere i sogni morire..."
In queste parole, Chuck vi impasta continui cambi di tempo, uno dopo l'altro. Si inizia a testa alta, con un'epicità assurda, poi le chitarre sfociano in un territorio più brutale, che infatti, accompagneranno le parole di cui sopra. Prima Hoglan e poi Steve, scandiscono il momento di cambiare tempo: la musica si fa ancora più maledetta:
"...Un consiglio: la pazienza del destino si sta accorciando.
Fingere nei confronti della mente e dell'apparenza:
cadrai a corto di sogni da distruggere...".
Più si va avanti e più il singer tocca punte inarrivabili: dalle scale ipnotiche di "Nothing Is Everything" ed i suoi grandi giri di basso (ascoltateli attentamente, son davvero unici). Da qui in poi non si respirerà più: "Mentally Blind" è impeccabile, subisce un cambiamento verso la metà, quando le chitarre e la batteria corrono veloci in un incedere quasi marziale. E se la titletrack invece colpisce per la sua radice fusion (beh, si...qui i Death strappano radici sia dal thrash, destrutturandolo a dovere, sia dal death), "Destiny" è assolutamente il manifesto di questo cd.
"...ll tempo è una cosa che dobbiamo accettare. A volte dell'inaspettato ho paura.
Quando appena sento che non c'è scusa per ciò che accade,le cose cadono in un luogo.
Io so che non c'è modo per evitare la sofferenza che dobbiamo
attraversare, per trovare l'altra metà che è fedele.
Il destino è ciò che noi tutti cerchiamo. Il destino stava aspettando te e me..."
Se lo leggiamo a distanza della morte di Chuck, vengono i brividi.
Premonitore, direi.
ITP si chiude nel migliore dei modi: "Out Of Touch" è la mia preferita. L'intro è stata utilizzata per aprire "Living Monstrosity" al concerto di Firenze del 1993, per la data di supporto a questo periodo della band. Viaggia una meraviglia, velocissima, concedendosi momenti di genio in ogni "dove" e "come", ascoltate ad esempio il minuto 2:49 per capirmi...
"The Philosopher" invece, altro highlight della band, sembra quasi un tributo alla filosofia, appunto...Il suo testo sembra trarre spunto dai pensieri di Socrate e Freud in modo così geniale che nessuno mai aveva osato.
Più specificatamente, il pezzo entra nelle menti guidate dai mass-media e da chi è così arrogante da credere di essere onnisciente.
Un disco oscuro, difficile, ma che saprà dissetarvi a dovere.

Davide Montoro

giovedì 11 dicembre 2008

Death - Human (1991)





Anno: 1991

Etichetta: Combat Records


Line-up:

Chuck Schuldiner - voce, chitarra
Steve DiGiorgio - basso
Paul Masvidal - chitarra
Sean Reinert - batteria



Tracklist:
  1. Flattening of Emotions - 4:28
  2. Suicide Machine - 4:19
  3. Together as One - 4:06
  4. Secret Face - 4:36
  5. Lack of Comprehension - 3:39
  6. See Through Dreams - 4:26
  7. Cosmic Sea - 4:23
  8. Vacant Planets - 3:48
  9. God of Thunder - 3:57




Il 22 ottobre del 1991 sempre sotto la supervisione di Scott Burns, presso i Morrisound Studios in Florida, esce il primo vero capolavoro dei Death (almeno per chi scrive). Se "Scream Bloody Gore" era fin troppo classico e debitore ad un certo thrash, "Leprosy" seppur sia sempre un master-piece, ancora presentava leggeri cali per quanto riguardava la presa finale del disco, nel suo totale, intendo. "Spiritual Healing" invece, aveva il suo debole, proprio nel suo punto di forza. Ancora oggi, ci si incentra troppo sulla presenza del grande James Murphy; vi erano inoltre canzoni come "Killing Spree" che, nonostante mostrassero nuove sonorità, non erano ancora capaci di emergere sulle altre.
Incredibile pensare a come Chuck DA SOLO abbia composto mezz'ora di materiale inedito, in poco più di un anno. Affiancato da un giovane Steve Di Giorgio al basso, e da Paul Masvidal e Sean Reinert, rispettivamente alla chitarre e alla batteria, Chuck ci infligge una pesante lezione di death metal iper-tecnico. Le chitarre sono compresse ed il sound risulta quindi più compatto: un pugno di filo spinato che ti arriva in pieno viso.
"Flattening Of Emotions" scandisce la lotta contro il tempo, con una batteria in lontananza: poi le chitarre e il basso, poi via. La musica viene sparata a velocità folli, un testo che è antagonista verso l'ego, lo stesso che viene descritto come lottatore delle azioni, che insidiano la nostra vita. La seguente "Suicide Machine" parla di eutanasia:
"...Controllando le loro vite, decidendo quando e come moriranno..."
"...Una preghiera per morire con dignità...è troppo da chiedere?...macchina del suicidio..."
E lo fa premendo sempre più il piede sull'acceleratore, ibridando un assolo sparato alla velocità della luce, perfettamente sposato con Reinert, che non risparmia nessuno; ogni minima influenza è da dimenticare, ognuno qui dà il suo apporto, ma con una veste nuova. Chuck ha un registro vocale più alto, sempre (e solo) in screaming, Masvidal alla chitarra rende ancora più imponente il muro di suono creato dal suo amico. Steve, dal canto suo, gonfia maggiormente la resa finale del cd, e le sue dita scorrono velocemente sul basso arrivando alla sua massima espressione nella strumentale mai da nessuno dimenticata (con le mani che si ritrova e la tecnica pazzesca che ha!).
Con "Together As One" Chuck -analizza- la condizione dei gemelli siamesi (beh, si!), che dividono tutto, tranne la mente ed il cuore: ma quando moriranno, lo faranno assieme.
"Sono stati etichettati come una creazione del male e ridicolizzati per il loro aspetto scioccante. Dividendo entrambi piacere e dolore: due menti, due cuori, un'anima. Separando mentalmente un'illusione di intimità. [...] Accomunati da un legame carnale e dividendo entrambi piacere e dolore: due menti, due cuori, un'anima...".
La canzone esprime sofferenza, ma soprattutto uno stato di angoscia: musicalmente il pezzo è brutale, ed amplifica maggiormente la compressione delle due chitarre.
I testi, si susseguono sempre bellissimi, unici: in "Secret Face", realizza l'esistenza degli ostacoli della vita, soprattutto delle persone false. Mi piace molto lo stacco iniziale, ma soprattutto l'assolo nel mezzo, che lascia spazio ai passaggi fluidi di Steve, prima di essere travolti da "Lack Of Comprehension". La più conosciuta, sicuramente, introdotta da un dolce arpeggio, spazzata via senza pietà da un mid-tempo che secondo dopo secondo si esprime in continuo crescendo, spezzandosi al minuto [2:13] in un riff schiacciasassi.
"See Through Dreams" e "Vacant Planets" viaggiano a braccetto, se non fosse per i ritmi cadenzati e claustrofobici di quest'ultima, e per il suo saluto mefitico con un guitar solo stellare. "Cosmic Sea" è un viaggio appunto cosmico, guidato da synth leggerissimi, chitarre che lasciano stavolta la natura compressa del restante album, e l'ormai stra-noto giro di basso di Di Giorgio, che tanto fa uscir di testa i bassisti di oggi. Non tanto forse per la difficoltà, ma è quell'atmosfera così magica, il suo abbandonarsi tranquillamente poi alla pesantezza, con quell'assolo posto sul finale...senza tempo, proprio come questo disco.
E' un'opera che abbraccia ancora più fortemente tematiche filosofiche-esistenzialiste, e che, in poco tempo, insegna e fa storia: essenziale.
Sempre con noi...


Davide Montoro

mercoledì 10 dicembre 2008

Death - Spiritual Healing (1990)




Anno: 1990

Etichetta: Combat Records

Line Up:
Chuck Schuldiner - voce, chitarra
James Murphy - chitarra
Bill Andrews - batteria
Terry Butler - basso


Tracklist:
  1. Altering the Future - 5:34
  2. Defensive Personalities - 4:45
  3. Within the Mind - 5:34
  4. Spiritual Healing - 7:44
  5. Low Life - 5:23
  6. Genetic Recon
  7. Living Monstrosity - 5:08
  8. struction - 4:52
  9. Killing Spree - 4:16

Cosa poteva uscire dai Morrisound Recordings, se non un altro capolavoro? Cosa potevano mai aspettarsi i deathsters di tutto il mondo, il 13 marzo del 1990, se non un'altra gemma da incastonare nella discografia essenziale dei Death? Nella band entra James Murphy, grandissimo chitarrista dalle strabilianti capacità. E da qui in poi non ce ne sarà veramente per nessuno: pubblicheranno altri 4 dischi superbi; certo, i continui cambi di line-up, tutto quello che volete, ma nei Death questo rappresenta sempre un passo in avanti, sempre più vicini alla perfezione.
La monoliticità di "Living Monstrosity" è palpabile nella musica e nelle parole. Il connubio inscindibile di Chuck era proprio questo: testi e musica d'alto livello, sempre. Lontano dai putridi canoni che il resto del metal estremo riservava. Con questo non voglio dire che i Death sono una band cosidetta d'élite, bensì un gruppo che semplicemente ha espresso il concetto di musica estrema come nessuno mai aveva fatto, calibrando sempre saggiamente, il tiro tra tecnica sopraffina, brutalità, ed emozioni allo stato puro.
Chuck si dimostra severo col mondo: nella traccia d'apertura, getta un monolite di piombo contro la società. Una chiave di lettura può essere "pezzo scagliato contro le persone che abusano della droga; un'altra, è quella secondo cui l'opener parla di un ragazzino maniaco nato da madre tossicodipendente:
"...contorcendo i corpi con l'introduzione di sostanze chimiche..."
"...Quella colpevole, ormai innocente grida, una vita d'inferno, meglio morire..."
"...Nato senza occhi, mani e con mezzo cervello: nato dipendente dalla cocaina, mostruosità vivente..."
"Saranno sempre dei diversi nella vita".
Tra questo testo bellissimo, si snodano assoli fantastici, che, anticipati da una scala tutta effettata in flanger, arrivano all'ascoltatore come una sorta di -guitar-battle- tra Schuldiner e Murphy che sembra non finire mai. "Altering The Future" parte lenta, la chitarra butta giù riffs più pacati, poi la struttura si deframmenta sempre più atrocemente, dettando un'altra condanna, stavolta contro l'aborto:
"...Creare una vita solo per distruggerla?
Nato per essere gettato nella spazzatura a marcire
Esistere in questo mondo può essere uno sbaglio
Quelli che sono con il bambino, hanno fatto la loro scelta
La morte e la vita sono prese così facilmente
Giusto o sbagliato, sarà così chi è scelto?
Alterando il futuro...".
"Defensive Personalities", parte in quinta, si mantiene su certi lidi classici del genere, mentre è da "Within The Mind" in poi che, se vogliam esser pignoli, arriva la parte migliore del disco. Questa canzone ormai è un classico, così come quasi tutti i pezzi dei Death, ed è incredibile come ogni parte si unisca alla perfezione.
Innumerevoli cambi di tempo, il primo solo di James, e poi un altro ancora sul finale, sempre molto ragionati e lontani dalla resto della forma-canzone.
La cura spirituale, è quella che Chuck sottoporrebbe a tutti quelli che compiono atti terribili in nome di (qualsiasi) dio. L'odio contro le piaghe dell'umanità non è una novità, e qui viene sottolineato nel migliore dei modi:
Usando la fede come una scusa per uccidere
" [...] Tutte le preghiere del mondo non possono aiutarti ora
Un killer, un compratore di vita è ciò che sei [...] "
Infine la condanna finale:
"Uccidere per la religione, il Signore perdonerà ciò? L'idiozia ha colpito la tua mente: una vita d'inferno troverai...".
Chuck sputa veleno, e lo fa nel modo più violento possibile, condendo però, questa brutalità, ad una musica sempre sopraffina. Nervosa, veloce, il basso di Terry Butler si fa sempre più pulsante, pronto a sorreggere il cambio di tempo più veloce e feroce. Poi tutto si scioglie in varie scale, unavoce dolorante in eco, e chitarre che stampano la loro rabbia contro di noi, attraverso assoli secchi e trascendentali. L'atmosfera del disco si scalda sempre di più, prima con "Low Life" per finire con "Killing Spree", la furia omicida, appunto.
"...Pianificando di diventare una furia omicida
Vittima di una cospirazione?
Annoiandosi con la sua vita attuale
Modificandola con un coltello..."
Un'album sì di transizione, ma che conserva una line-up indimenticabile, notevoli migliorie per quanto riguarda l'apporto a basso/batteria (i precedenti album erano si malvagi, estremi, ma erano sin troppo statici e impersonali per essere ricordati) che lasciano il segno anche nei stacchi più quadrati. Facendo vostro anche questo disco, avrete un pò il sunto del Death-Sound, che col passare degli anni subirà ulteriori modifiche, che farà sempre più proseliti. In più godrete del fatto che trattandosi di death metal, leggerete delle liriche impegnate, profonde, che rasentano la poesia.


Davide Montoro

martedì 9 dicembre 2008

Death - Leprosy (1988)

Etichetta: Combat/Under One Flag
Anno: 1988

Line Up:
Chuck Schuldiner - vocals, guitar
Rick Rozz - guitar
Bill Andrews - drums

Tracklist:
1.Leprosy
2.Born Dead
3.Forgotten Past
4.Left To Die
5.Pull The Plug
6.Open Casket
7.Primitive Ways
8.Choke On It

Un anno dopo ed è già tempo di un altro studio-album. Chris Reifert lascia, cedendo il posto all'ex-Massacre Bill Andrews: band, questa, in cui avevano già militato membri dei Death, ovvero Kam Lee, Terry Butler e Rick Rozz, presente su "Leprosy". Sebbene nei credits dell'album venga segnalato Terry Butler, è di nuovo Chuck in realtà, ad occuparsi delle linee di basso. "Leprosy" viene ricordato con un enorme sorriso sulle labbra da un'intera generazione di seguaci dei Death. E' l'album della svolta: i testi stavolta sono di carattere esistenziale, senza rinunciare ad una lieve riga di cruda realtà.
Musicalmente, "la lebbra", si espande sull'ascoltatore in poco più di tre quarti d'ora, a cavallo tra le ritmiche forsennate del debut-album, e trame chitarristiche molto tecniche, veloci, SPORCHE, ma proprio per questo "ascoltabili", che si lasciano ricordare subito. La batteria cade giù come un macete, la titletrack viene lanciata con un screaming che ricorda tanto il "...dieee!!!..." di "Infernal Death" e rappresenta il primo pezzo di lunga durata composto dalla band. Ha dei grandi solo di chitarra, ed una struttura che segue una linea ben precisa, molto coinvolgente: siamo ancora ad inizio disco, e Chuck già comincia ad abituarci ai suoi testi speciali.
La titletrack, che prende spunto da un film horror di Carpenter in cui una colonia di lebbrosi vengono portati con un vascello versola morte, recita infatti così:
[...] ...L'aspetto deforme dei corpi oltre ogni conoscenza, cacciati via dalla loro società"
...Il diverso del mondo oscuro è ciò che la gente dice...
...L'aspetto diviene orrendo uno sguardo è troppo da ricevere...
...Le loro vite cadono in rovina prima dei loro occhi [...]
Questa riflessività, questa maturazione che ritroviamo nei testi, si sposa perfettamente con il lato lirico più "crudele" della mente di Chuck. Sempre in Leprosy poco dopo egli dice:
"Prima un braccio poi una gamba...Il deterioramento cresce...marcendo mentre respirano... la morte arriva lenta".
La lebbra, poco più, poco meno, diretta in faccia all'ascoltatore. Una malattia che vi colpirà sia concettualmente, che musicalmente: la sezione ritmica in questo cd è strabiliante. Monolitica, ossessiva.
Alla classica canzone d'apertura, segue "Born Dead" massiccia e intricata quanto basta, che parla di rassegnazione del nulla dopo la morte:
"una vita di miseria, presto diventerai un cadavere".
Rick Rozz alla chitarra è impeccabile, il suo apporto è indispensabile, soprattutto nella coppia "Forgotten Past" / "Left To Die". Senza fronzoli, viene raccontato un passato ormai svanito:
"...Nel profondo della tua mente c'è un altro lato
una morbosa verità che non può nascondere:
incredibili spargimenti di sangue
erano all'apice del tuo passato..."
Un passato macchiato di errori, di delitti o cosa? Sarà una metafora riferita a qualcosa di più "metafisico" o Chuck desiderava realmente persistere con quelle tematiche così difficili da mandar giù? "Leprosy" rappresenta quindi un cambio fortemente drammatico, un album dedicato totalmente alle tragedie umane di ogni "quando" e "dove". Per quanto riguarda "Left To Die", finalmente abbiamo qualcosa che si avvicina maggiormente al tipico Death-sound. L'intreccio di chitarra iniziale, scorre via una bellezza, mentre la voce soffocata ripete
"Non ritornerai vivo -- lasciato morire...soffrendo fino alla fine -- lasciato morire...".
In questo lavoro c'è anche "Pull The Plug", una canzone coverizzata da tantissime bands, suonata il20 dicembre del '91 anche con Chris Barnes in veste di guest, durante il tour di "Leprosy" assieme a Napalm Death, Pestilence, Cannibal Corpse e Dismember. Ha qualcosa in comune "Forgotten Past", che parlava di una verità nascosta; una verità che viene poi lacerata e fatta sparire con la canzone manifesto (almeno per i tanti) di questo platter. "Open Casket" destruttura i migliori Slayer, con maggiore spazio per il lavoro dietro la batteria, mentre la finale "Choke On It" ci lascia nel migliore dei modi. Il basso è una macchia d'olio, tra assoli distorti, e l'avvelenamento dopo il secondo minuto, quando Chuck affoga la sua chitarra nell'acido, dandoci in pasto una parte solista incredibile.
In tutta la durata di queste otto canzoni, i Death ci regalano musica feroce, ma elegante, anticipatrice già di un genere che verrà poi proposto trito e ritrito nel corso degli anni.
Sempre con noi...

Davide Montoro

lunedì 8 dicembre 2008

Settimana Chuck Schuldiner: Death - Scream Bloody Gore (1987)


Il 13 dicembre di sette anni fa si spegneva a soli 34 anni uno dei musicisti più influenti e ammirati dell'intera scena death metal e non, Chuck Schuldiner: partendo dal death metal seminale di Scream Bloody Gore, passando per il definitorio Leprosy , e tutta una storia fatta da una crescita sia nella tecnica sia nei temi trattati, dando vita a una serie di capolavori importanti oltre che per la definizione, anche per l'evoluzione del genere, come Human , e probabilmente per la musica tutta, grazie a Individual Thought Patterns, per finire con una raffinata ricerca anche melodica in Symbolic, fu autore di dischi divenuti ben presto delle pietre miliari e un personaggio disponibile e mai banale, per questo Rock & Dintorni vuole dedicare questa settimana interamente alle recensioni dei suoi due gruppi, i Death e i Control Denied, grazie alle recensioni dell'amico Davide Montoro.

Support Music, Not Rumors.



Scream Bloody Gore



Etichetta: Combat/Under One Flag
Anno: 1987

Line Up:
Chuck Schuldiner - vocals, guitar, bass
Chris Reifert - drums

Tracklist:
01.Infernal Death
02.Zombie Ritual
03.Denial of Life
04.Sacrificial
05.Mutilation
06.Regurgitated Guts
07.Baptized in Blood
08.Torn to Pieces
09.Evil Dead
10.Scream Bloody Gore

Trentotto minuti e Charles Schuldiner, sotto la supervisione di Randy Burns e con l'amico Chris Reifert, ti riscrive le regole del metal estremo.
Senza allontanarsi dai tipici canoni di carattere lirico-testuale del genere, "Scream Bloody Gore" ti arriva addosso come un macigno rovente, e le 10 tracce presenti nel disco, dimostrano sia tutto l'amore di Chuck per il death classico, che un nuovo approccio a livello compositivo. Diciamola tutta: i riff dell'indimenticato vocalist, si riconoscono in un secondo ed hanno influenzato migliaia di musicisti, e già questo capo-lavoro, se ascoltato con la dovuta attenzione, mostra i primi accenni del suo tipico incedere tecnico/brutale/emotivo. E' sempre bello ascoltare questi riffs, dannatamente brutali, ma che dentro, hanno una carica emotiva unica.
Mai titolo fu più azzeccato per "Infernal Death": attacca con un giro di chitarra caldo, intenso, molto epico ma anche fottutamente thrash, e quel "...dieee!!!..." ripetuto in modo straziante, diretto contro l'ipocrisia del mondo, che lascia spazio ad una metrica, appunto, infernale.
All'età di vent'anni Chuck scrive un disco d'oro, che alterna i riff d'apertura epocali di "Zombie Ritual", complessi e d'effetto, ad altri più insoliti, se vogliamo, di "Regurgitated Guts". L'influenza del thrash metal si sente, ma viene marcatamente potenziata dalle trame e dagli assoli che si infiammano secondo dopo secondo. La ripetitività in alcuni passaggi viene ampiamente dimenticata dal ruvido screaming del nostro singer, che anche con poche parole, riesce a scrivere una metrica catchy e possente.
Ho già accennato, per questo, a "Zombie Ritual" così come possiamo farlo anche per "Evil Dead", un pezzo ormai storico.
Se però a livello musicale, già riusciamo a sentire delle "anticipazioni" del Death-sound, a livello testuale, sono solo pochi, i momenti in cui noi possiamo ritrovare dei momenti (se possiamo così definirli) riflessivi. C'è una verità non da tutti accettata ("Existence fading into ashes" da "Infernal Death"), realtà viste in prospettive morbose ("in your dreams the pain is so real, before the dead you'll have to kneel" da "Denial Of Life") ed ancora, un'ammissione di disorientamento nella traccia d'apertura: "trapped inside a life which is not yours". Se l'incursione chitarristica di dischi come "Show No Mercy" e "Hell Awaits" degli Slayer, vi è piaciuta, non potete fare a meno di ascoltare la trasposizione dei due citati dischi in ambito death metal. Semplicemente sanguinolento e storico.
Sempre con noi...

Davide Montoro