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sabato 25 ottobre 2008

Down - II: A Bustle in Your Hedgerow (2002)


Anno: 2002

Etichetta: Electra

Track-list:
Lysergik Funeral Procession
(Anselmo/Keenan/Bower/Windstein) – 3:10
There's Something on My Side
(Anselmo/Keenan/Windstein) – 5:21
The Man That Follows Hell
(Anselmo/Keenan) – 4:33
Stained Glass Cross
(Anselmo/Keenan/Bower) – 3:36
Ghosts Along the Mississippi
(Anselmo/Keenan/Windstein/Bower/Brown) – 5:06
Learn from This Mistake
(Anselmo/Keenan/Brown) – 7:14
Beautifully Depressed
(Anselmo/Keenan/Windstein/Bower) – 4:52
There I'm Going
(Anselmo/Keenan) – 3:10
Doobinterlude
(Bower) – 1:50
New Orleans Is a Dying Whore
(Anselmo/Windstein/Keenan/Bower) – 4:15
The Seed
(Anselmo/Keenan/Bower) – 4:21
Lies, I Don't Know What They Say But...
(Anselmo/Keenan/Brown) – 6:21
Flambeaux's Jamming With St. Aug
(Bower) – 0:59
Dog Tired
(Anselmo/Keenan/Bower) – 3:21
Landing on the Mountains Of Meggido
(Anselmo) – 7:49


Lineup:
Phil Anselmo - Vocals
Pepper Keenan - Guitar
Kirk Windstein - Guitar
Rex Brown - Bass
Jimmy Bower - Drums


Secondo lavor dei Down: il disco della maturità secondo il pensiero comune. Iniziamo dicendo che c'è un cmabio nella line up, in quanto Jimmy Bower viene rimpiazzato da Rex Brown (bassista nei Pantera) ee questo avrà un peso stratosferico nella composizione dei pezzi e nella ricostruzione delle influenze che circolano nel disco. Se il primo puntava tantissimo sullo sludge e sul southern, nel secondo la vena thrash dei pantera (dei dischi 1990-1996) si fa riscoprire sia nei vibrati di Pepper, sia nelle ragnatele basso-batteria. Ma non è un trhash metal dettato dalla violenza e della "depravazione" sonora come quando c' era Dimebag (rip) alla chitarra e Vinnie Paul alla batteria: la chitarra ha sempre quel suono sabbathiana e sludge e la sezione ritmica agisce in maniera più equilibrata, riservando ad occasioni molto speciale l'uso del doppio pedale o della martellata sincorinizzata che invece contraddistinse Vinnie Paul e fece scuola. E' un disco più maturo e più complesso, dalle sfumature ricercate e multiformi: si passa dalla struggente e sofferente Where I'm Going" alla pensate e maligna There's Something on my Side , fino a giungere alla megalitica Ghost along the Mississipi. Divertente il modo in cui dipingono la loro città d'origine (New Orleans is a Dying Whore)

New Orleans is a dying whore
Naked she sleeps on my floor
New Orleans is a dying whore

The spreading highway
To the underwater staircase
Leading up to a black room
To leave there you're a fool
Mob world politics
So broke it can't fix
Trapped in a time zone
There's no place like home



ma è curioso, quasi sadico quel "Non c'è nessun posto come casa tua".

Da orgasmo le due suite acide e distorte: Learn From this Mistake e Landing on the Mountains of Me. le quali oltre ad avere richiami per lo space rock ed Hendrix, sono introspettive e di una bellezza da togliere il fiato.

Sgabrioz

venerdì 24 ottobre 2008

Down - Nola (1995)


Anno: 1995

Etichetta: Elektra

Tracklist:
Temptation's Wings
– 4:24 - (Anselmo/Keenan)
Lifer
– 4:36 - (Anselmo/Keenan)
Pillars of Eternity
– 3:57 - (Anselmo)
Rehab
– 4:03 - (Anselmo/Keenan/Windstein)
Hail the Leaf
– 3:28 - (Anselmo)
Underneath Everything
– 4:46 - (Anselmo/Keenan)
Eyes of the South
– 5:13 - (Anselmo/Keenan)
Jail
– 5:17 - (Anselmo/Keenan/Strange/Winstein)
Losing All
– 4:21 - (Anselmo/Keenan)
Stone the Crow
– 4:42 - (Anselmo/Keenan)
Pray for the Locust
– 1:07 - (Anselmo)
Swan Song
– 3:35 - (Anselmo/Bower/Keenan)
Bury Me in Smoke
– 7:04 - (Anselmo/Keenan)



Premessa necessaria

I Down rientrano perfettamente nell'insieme dei supergruppi: croce e delizia del rock e presenti in quasi tutti i generi. Potremmo fare una carrellata veloce partendo dagli anni '50 con i Million Dollar Quartet (Elvis, Johnny Cash, Jerry Lee Lewis e Carl Perkins)
Passando nei '60 con i Cream (Clapton, Baker e Bruce), Crosby, Stills, nash and Young, Blind Faith ( Clapton, Baker, Winwood, Grich), The Dirty Mac (Lennon, Clapton, Mitchell e Richards).
Arrivando nei '70 con Emerson, Lake and Palmer, i Wheater Report, Mahavishnu Orchestra (John McLaughlin, Goodman, Laird, Hammer, Billy Cobham), passando poi per Rainbow e Bad Company.
Quindi, ora che avete capito cosa sia un supergruppo, passiamo ai Down.


Nascono nel 1995 a New Orleans, la città sul delta del Mississipi, che ha regalato i natali ai cinque ragazzotti americani, ben conosciuti nei rispettivi ambiti.
Rispondono al nome di Philipp Anselmo (Pantera, Crown Brown, Superjoint Ritual, dietro al microfono), Pepper Keenan (Corrosion of Conformity, alla chitarra solista), Kirk Windstein (già chitarrista nei Crowbar, grandissimo gruppo sludge metal), Todd Strange (bassista nei Crowbar, che ha fondato assieme a Windstein) ed infine Jimmy Bower (batterista con i Crowbar, e chitarrista sia nei Superjoint Ritual che nella band southern sludgecore EyehateGod). Quindi si riuniscono in una casa rustica, la trasformano in una saletta ed iniziano a jammare. Per puro divertimento, senza il minimo interesse di specularci sopra visto che tutti i loro gruppi stavano andando più che bene.
la dimostrazione risiede nei dati di vendita e nei riconoscimenti ottenuti dalle rispettive band.
I Pantera avevano pubblicato nel 1994 "Far beyond Driven" e nel 1996 pubblicheranno "The great southern trandkill": entrambi dischi di platino.
I Corrosion of conformity l'anno precedente avevano registrato il masterpiece "Deliverance" e nel 1996 daranno alla luce "Wiseblood", altro disco ampiamente apprezzato da fans e critica...
I Crowbar dal 1993 al 1996 incidono 3 full lenght ed un live + Ep...

Quindi possiamo benissimo dire che i Down non nascono certo per una manovra salvafaccia di qualche astuto manager. Nascono da un'idea: riunire un gruppo di amici con le stesse origini, in una sorta di campanilismo musicale; tutti quanti amano le sonorità dei black sabbath, lo sludge, il southern americano dei Lynyrd Skynyrd, il blues duro e grezzo, i riffs tipici dei '70ies e parlare di alcuni temi che reputano importanti. Si passa dalle delusioni amorose, alla vittorie personali, all'uso di droghe leggere (in primis l'erba), alle proprie origini geografiche e culturali. E così via.
Allo stesso modo inizialmente non pubblicano più di tanto le proprie demo nè tantomeno portano in tour il primo disco, "Nola". Infatti si registrano in quegli anni solo 13 concerti dei Down, in giro per gli United States.
Lo stesso Keenan racconta che durante una prestazione live dei Corrosion, in Svezia un ragazzo tra il pubblico tenesse alto un cartello con il simbolo ed il logo dei down con in basso la scritta "so chi siete".
Ma nonostante nacque tutto per una jammata - più o meno occasionale - i Down si trasformarono rapidamente in una delle più accattivanti e cariche band di southern/sludge metal.


Nola è il disco d'esordio, una delle migliori produzioni della seconda metà degli anni '90. Impossibile non amarlo e trovargli una pecca: tute e 13 le tracce sono incredibilmente belle, non peccano mai nè di troppa semplicità nelle linee compositive nè tantomeno di eccessiva ricercatezza e complessità nello sviluppo dei brani. Naturalmente è possibile trovare alcuni brani molto più magnetici e coinvolgenti di altri, ed è questa una delle caratteristiche che ha portato alcuni critici a classificare i Down nel genere (nuovo, io l'avevo sentito poche volte) del c.d. groove metal. Forse perchè i riff di Keenan sono così belli e melodici da ricordarti i più alti episodi del rock duro tra il '66 ed il '75 passando da Blue Cheer a Hendrix a Cream a Skynyrd ma soprattutto fermandosi con Iommi dei Sabbath. Vuoi perchè la batteria ha degli stacchi compositivi che pescano a piene mani da decine di contenitori (dal thrash metal dei pantera, a passaggi che sfiorano il tribal, al southern e folk, al rock n'roll), oppure anche perchè Anselmo realizza un lavoro che probabilmente è uno dei più alti della carriera sua e di parecchi cantanti metal, anche perchè è l'autore di tutti i testi. Basterebbero pezzi come Loosing All, Stone the Crow, (il pezzo migliore di tutta la produzione dei Down, nonchè una delle più belle ballads mai sentite) Eye of the South o Temptation's Wings per spazzare vie una dozzina di dischi d'esordio di altri gruppettini di belle speranze. Come abbiamo detto alcuni testi parlano del fumo:
Hail the Leaf (in cui ad un certo punto si sente qualcuno che tira con un bong, almeno così mi hanno ricordato quelle bolle. A meno che non stesse cantando dentro una jacuzi...ma rimango fermo sulla teoria del bong)

Brave River
I can't sail
Lone Feeling
That I might Fail
So I just, Smoke
Let Me Feel, Stoned

Sixth Hour
Fail to Rise
And I cower
In reality's eyes
So I just, Smoke
Let Me Feel, Stoned
(Smoke)
(Stoned)


oppure Bury Me in Smoke (ultimo brano del disco):

But when my time will come, I know the reason why
I have an escape, alone it keeps me safe and in my home
I have a reason, to keep me satisfied until I'm gone
Don't regret the rules I broke
When I die bury me in smoke


Allo stesso tempo troviamo spazio per dei brani di una bellezza disarmante, veri e propri atolli di quiete ed arpeggi, carichi di atmosfera e di maturità come "Rehab, Jail e Pray for the Locust, capaci di trasportarci in una dimensione onirica e lisergica. Si anche perchè i down si contraddistiungono anche per l'abilità nel ricreare intricati e lunghissimi viaggi spaziali, immensi trip solo con l'abilità di riff ed effetti "vintage", acuti e passaggi doppi di voce (se avete presente "This love" dei pantera, vi ricorderete certamente delle frasi che Phil recitava e scandiva con voce bassissima, quasi gutturale).

In sintesi, si tratta di un disco da avere ed ascoltare ad ogni costo. Non solo vi prendere, ma non ve ne staccherete mai più; un classico del rock duro da mettere affianco a master of puppets o a blues for the red sun.

Sgabrioz

giovedì 23 ottobre 2008

Crowbar - Odd Fellows Rest (1998)



Anno: 1998

Etichetta: Mayhem/Fierce

Tracklist:
1. Intro
2. Planers Collide
3. ...And Suffer As One
4. 1,000 Years Internal War
5. To Carry The Load
6. December's Spawn
7. It's All In The Gravity
8. Behind The Black Horizon
9. New Man Born
10. Scattered Pieces Lay
11. Odd Fellows Rest
12. On Frozen Ground

Line-up:
Kirk Windstein - Guitar, Vocals
Sammy Pierre Duet - Guitar
Todd Strange - Bass
Jimmy Bower - Drums

I mostri dell'underground di New Orleans, i Crowbar, dal 1989 alla metà degli anni '90, diventano famosi per la messa a punto dell'immaginario nonchè del suono sludge, insieme ai loro colleghi Eyehategod ed Acid Bath, tanto per citare i più caratteristici.
La formula era di una semplicità quasi ovvia, e come tutte le cose ovvie, una volta trovate è diventata una specie di regola aurea, la quintessenza del rock pesantissimo che più pesante non si può, per via della totale fiducia nella catarsi attraverso la canzone heavy metal portata all'estremo nel modo più zoticone e rozzo possibile, attraverso un appesantimento dei Black Sabbath previa eliminazione di ogni virtuosismo, ed è per questo che non raramente veniva fuori una autentica passione per l'hardcore/grindcore un po in tutta la scena: niente fumo e tutto arrosto, un po come i primi Melvins, presi e declinati in tutte le possibili varianti.
Il suono saturo ed asfissiante, il senso di malessere e disagio ricercato e indotto dalla "canzone" sludge, che essenzialmente funziona come una carovana di condannati a morte, legati piede e piede con le catene (lentezza, senso di morte imminente, estrema staticità), ben presto diventano un vero e proprio marchio di fabbrica, un modus operandi abusato, e nella seconda metà degli anni '90 la stragrande maggioranza dello sludge che conta, prova a cercare varianti interessanti (Iron Monkey, Breach, Bongzilla...) e tra questi i Crowbar, nel 1996, nel loro album più heavy già segnano quella che sarà, dal mio punto di vista, la loro arma vincente di li a poco: "Can't Turn Away From Dying" e "Nothing"(la cui conclusione è allo stesso tempo la negazione della regola "di stile" vista sopra) erano l'aspetto migliore e più saliente del monolitoco "Broken Glass", più che basati sullo sfondamento a tutti i costi, erano tentati dalle contraddizioni tra suono sludgy e senso della melodia, innestando inaspettati clean vocals, nonchè momenti di sottile calma e mistici sussurri tra le voluminose abrasioni e le regolari propulsioni dell'avanzare magmatico del suono, ora più corposo e meno istintivo che in passato, e più lento. La metafora del vetro rotto è emblematica della musica della lacerazione dei Crowbar, l'anelasticità della rottura è il simbolo della solidità estrema che la band vuole impersonare, una creazione tanto possente quanto intimamente fragile, che si spezza ma non si piega mai.

"Odd Fellows Rest" è l'album della svolta, nel 1998. Non una cosa marcata, ma chiara e palpabile anche da aspetti oggettivi, come la presenza di un intro, di per se singolare per una band che non si è mai fatta problemi quando si trattava di andare direttamente al punto della questione. Chi ci ha abituati all'eliminazione programmatica di qualsiasi abbellimento, di qualsiasi lavoro di limatura e di tutti i giri di parole, si concede un'introduzione che, a prescindere dai contenuti, che non fanno altro che anticipare il primo brano, segna la volontà di voler trattenere un attimo il respiro, pensarci su, e poi riprendere con lo sforzo.
Un altro aspetto oggettivo è il minutaggio più elevato, che è solo il risultato finale di una struttura dei pezzi molto meno lineare, molto meno rozza, quindi basata più sulla paziente rilettura del metal sudista in chiave più tozza possibile fondendolo con la cupezza dei Black Sabbath, non più estrapolandone e dilatandone qualche riff, ma facendone proprio il gusto perverso e ligubre per la pensierosa e tremante staticità.
La copertina esprime altre due componenti, a mio modo di vedere, non trascurabili: innanzitutto l'unione (fusione) dei componenti della band, che più di una citazione dei Queen, mi pare una sorta di simbolo di una musica ora più che mai corale, che non lascia mai spazio ai singoli componenti, che praticamente si fondono in un solo corpo, un solo cuore, una mente sola. Il secondo aspetto, che completa il primo è il senso di sofferenza, nei volti innanzitutto, poi nella musica; quella copertina non si fa problemi e come di consueto senza giri di parole sbatte in primo piano il vero oggetto del discorso, ossia la sofferenza che solca i visi della band, che a sua volta è un leviatano, un organismo complesso fatto da più entità che insieme formano un qualcosa che è molto più che la sommatoria dei vari membri. Il volto della sofferenza, e la musica della sofferenza.
Questa, al dilà di tutto il resto è la corretta chiave con cui poi riascoltare il disco, più che per confermare i luoghi comuni, per trovare le specificità dei Crowbar e di questi Crowbar della fase più emotiva della loro carriera.

Salvation
Soul searching for lost innocence
I feel it coming, coming in waves
Created my own world
The angels they carry me
It's such a long way home

L'album in definitiva non colpisce per l'intransigenza, come quelli che lo precedono, ma per il senso della melodia (grande conquista), per la capacità del gruppo, nel riuscire a ricavare una via alternativa, presentando brani diversi tra loro (altrettanto grande conquista), con maggiore profondità e capacità di estendere il registro sonoro e lirico dai toni più cupi e aspri che ci siano a momenti in cui è possibile trascendere questo dover-essere, in soluzioni ampiamente atmosferiche anche se sempre legate alla nuda terra. In questo senso dell'atmosferico e allo stesso tempo dell'incredibilmente corporeo c'è il vero e proprio segreto di questi Crowbar. Il resto sono solo chiacchiere, perchè di duri ce n'è di più duri, di tecnici ce ne sono molti di più, e infatti i Crowbar non vogliono ne fare i duri, ne fare i prof di musica ma, giunti al quinto album, vogliono provare l'impossibile: mettere il sentimento nello sterco putrido.
Kirk Windstein alla voce e alla chitarra (aveva iniziato da poco l'esperienza nei Down), che è la penna e la mente del gruppo, questa volta incrocia le sue corde con Sammy Pierre Duet , mentre al basso c'è Todd Strange basso (reduce degli Acid Bath e occasionalmente nei Down) e Jimmy Bower alla batteria. Nessuno di questi vuole emergere dalla pastoia generale, e infatti tutto è appianato nella palude esistenziale del disco, ma la maggiore professionalità guadagnata negli anni, permette composizioni più esaustive e meno parziali.
Scattered Pieces Lay è una sintesi del nuovo metal di fine anni 90 e un monito di quello che sarà nel millennio a venire, un discorso che attozzisce (in un primo momento), e poi esalta misticamente (in un secondo momento) i Pantera, rigonfia (in passaggi semplici ma evocativi) la vecchia scuola dell'hardcore scomodando dei riffs da finimondo (quella che oggi è ben più di una tendenza, ma uno stile consolidato), un groove inizialmente instabile nella sua possenza (avanza nichilisticamente distruggendo e ricostruendo), che poi si disgrega in un decadimento melodico che libera energia e pathos nell'intenso finale del brano, una sintesi delle istanze più estreme e pericolose dell'alchimia dei Crowbar e delle loro tendenze più morbide ed immaginifiche.
Planets Collide, capolavoro assoluto, è la più nera e malinconica tra le litanie paludose dei Crowbar, che se in passato erano dei guerrieri sanguinari, ora sono come il Dio della guerra di Diego Velázquez, dove Marte appare con i muscoli distesi, molli, ripiegato su se stesso, mentre si riposa e si distende, stanco, dopo la prova di forza, simbolo di libido ma anche di saggezza, in una coincidenza degli opposti che è pure presente nei Crowbar, che uniscono la fisicità estrema al pensiero e al sentimento, uniscono il terreno con l'ultraterreno, la banalità e la grettezza della forza impetuosa alla raffinatezza del pensiero che va oltre. Così come Velázquez voleva liberare l'uomo del suo tempo dall'aggressività, del personalismo e dal maschilismo, togliendo la corazza al Dio della guerra, e raffigurandolo in un momento di stasi riflessiva, allo stesso modo i Crowbar tolgono alla musica heavy prima l'armatura del solipsismo virtuosistico e poi appianano le asprezze della loro monolitica mistura, in una dolce agonia più vicina al blues in senso letterale, che al metal.
Il brano trascina lentamente, nella sua calda rotondità, consona ai Kyuss, piena di amara melodia; l'unica differenza che passa in questo pezzo tra Kyuss e Crowbar è che mentre i primi il deserto lo vedono in superficie, i secondi lo penetrano come se volessero spingersi sotto la sabbia, non alla ricerca del petrolio, ma alla ricerca di una spiritualità perduta, che si può trovare solo attraverso la sofferenza, la nuda, terrena e sporca sofferenza. I Kyuss trovavano dinamismo nella dilatazione pachidermica di una "Thumb" mentre, al contrario, i Crowbar dilatano un dinamismo solo apparente, e qualsiasi tentativo del volo viene ricollegato al terreno, bloccato, spezzato e condannato ad un movimento circolare, senza prospettive.

Swollen eyes that bleed for you
Cold steel bars I'm watching thru
You've been baptized in a lake of tears
Crucified yourself with your own fears

December's Spawn è come camminare su una distesa di sabbia,ma con in vento in direzione opposta, e il risultato è qualcosa di estremamente faticoso, come faticoso è addentrarsi nel pezzo superando l'intro, irto di feedback controllati con una rigida disciplina. Il pezzo procede lentamente, si prosciuga piano piano come un fiume in secca, e in questo consumarsi cela il suo mistero, e il fascino di una musica che dietro la feroce baraonda nasconde sensazioni imprevedibili e fuori dai canoni del rock intransigente, e le si trova nei fiati di voce latenti, nelle urla spezzate, nella ripetitività e nella intensa bassezza dei suoni, che più bassi e non li si più immaginare.

Gone from heaven to hell
And it's oh so cold
Raining darkness and pain

Odd Fellows Rest rappresenta poi un episodio isolato, un lento mistico, nettamente fuori dall'ipertrofico rock del resto del disco, fuori dal muro di distorsioni totalizzanti, fuori da tutto il resto, e ciò che resta è la più fumosa e cupa delle ballate psichedeliche che tutta la scena abbia saputo offrire. Serpeggiano nei sotterranei, le pulsioni del basso, sospingono avanti l'anelito fino a disperderlo in una nebulosa acustica avvolgente dai contorni sempre più indefiniti, sempre più diretti al superamento dei confini dell'orrore del mondo. Ma il superamento non si ha nella separazione della raffinatezza acustica dalle pulsioni più luride e sorde al sentimento, ma attraverso la sintesi tra forza bruta e tensione al trascendente, che praticamente si realizza nel solo finale della brutale On Frozen Ground, che con la sua semplicità chiude l'album alzandosi al cielo come il pensiero e le mani di Dafne, condannata alla metamorfosi nell'immobilità della pianta.

See through all your lies
Your pathetic cries
Suicide lack of pride
Dig your grave for you
Despise all you do

Il Marte desnudo, così molle e delicato codifica gli istinti in amore, e le pulsioni diventano coscienza, in una operazione che umanizza quanto disumanizzato dalle guerre, o in questo caso dal nichilismo estremo di una musica che troppo spesso aveva premuto troppo il piede sull'accelerazione. Un nuovo corso si apre ai Crowbar e alla musica che verrà, e questo è il primo passo verso pensiero inedito dove gli opposti coincidono e dove le barriere ghettizzanti vengono gradualmente abolite.

John

mercoledì 22 ottobre 2008

Crowbar - Broken Glass (1994)



Anno: 1996

Etichetta: Pavement Records

Tracklist:
1. Conquering
2. Like Broken Glass
3. (Can't) Turn Away From Dying
4. Wrath Of Time
5. Nothing
6. Burn Your World
7. I Am Forever
8. Above, Below And Inbetween
9. You Know (I'll Live Again)
10. Reborn Thru Me

Line-up:
Kirk Windstein - voce, chitarra (anche nei Down)
Matt Thomas - chitarra
Todd Strange - basso (anche nei Down, ma solo in N.O.L.A.)
Jimmy Bower - batteria (Eyehategod, Crowbar, Down, Superjoint Ritual, Debris Inc. e The Mystik Krewe of Clearlight)


Vetri rotti, frammenti di melodie frantumate dai riff esplosivi e venefici di Kirk Windstein. Una sassaiola di note, grancassa, bordate di basso ed una sezione ritmica deflagrante come un bombardamento al napalm nelle risaie del Vietnam durante gli anni '70. Ma qui la cavalleria dell'aria è rappresentata dalla ferocia e dal clima di martirio sonoro che scaturisce dal disco: veloce nella sua staticità di derivazione doom, mordente nel suo ritmo amrtellante derivante dall'hardcore dei Black Flag di MY War, patologico come la chitarra dei primi Melvins, legato alle proprie radici come il southern della Lousiana: in una parola, Sludge. Salubre quanto può esserlo una palude dell'Alabama, il Mardi Gras sonoro è pronto a partire ed appestare la stanza con il suo spettacolo di freaks: annuncia l'apertura delle danze il capocomico, l'arlecchino dalle tonalità pesanti e volgarmente potenti di Conquering, che si dichiara pronto ad annichilire ogni forma di resistenza, anche la più piccola. Il drumming forsennato e cazzuto come una grandinata torrenziale, la voce che urla e sbraiata concetti nel puro stile sludge, creando, valorizzando, premendo l'acceleratore fino in fondo e facendo salire di giri quel mezzo anfibio corazzato chiamato Crowbar. Like a broken glass è l'esatto modo in cui ci si sente, tra assoli curati, vibrazioni abrasive e sporche che hanno fatto scuole, ed il suono di un gruppo come i Down e gli ultimi Corrosion Of Conformity devono tutto ad un gruppo come i Crowbar. Wrath of time be judgement ti apre come un piede di porco (da qui il nome del gruppo), facendo perno sul tuo sterno, ti scoperchia la cassa toracica ed infila dentro quella bomba al neutrone di Burn Your World. La testa ti scoppia, ma il cuore ha bisogno di altre scariche di adrenalina, intervallate dall'assunzione di sostanze dopanti per non sentire la fatica, lisergiche proteine ed amminoacidi a base alcolica, come Can't turn away form dying e Reborn thru me, dove l'incedere massiccio del doom lavico e oscuro di Pentagram, Saint Vitus, Trouble e Sabbath si confonde con la derisione e lo scherno del blues più malato, di una chitarra rocciosa e killer come la voce. Un disco che racconta lo sludge ed uno dei capolavori del genere, assolutamente irrinunciabile anche perchè in 38 minuti è capace di prendervi e girarvi la pelle. Vi avverto: dopo averlo ascoltato andrete in giro come il manichino di esplorando il corpo umano.

Sgabrioz

martedì 21 ottobre 2008

Eyehategod



C'era una volta il blues ed il southern, musica tipicamente americana per americani puri e duri: di quelli che hanno la bandiera a stelle e strinsce in giardino, che il sabato per pranzo fanno un barbecue indossando un grembiule con su scritto "kiss the cook", di quelli che sono tutti birra, football e che credono a tutto quello che dice Washington, piangendo quando vedono lo sbarco sulla Luna. Siamo negli Stati Uniti e gente come Young, Petty, Lynyrd Skynyrd e Willie Nelson erano idoli incontrastati per le folle, ma col passare dle tempo una parte della popolazione inizia ad innervosirsi, rifiutando logiche borghesi, puntando il dito contro la società stessa di cui fa parte, ripudiando quegli ideali commercializzati e appiccicosi come lo sciroppo d'acero sulle pancake. E' il punk hardcore dei Black Flag, Discharge ed Unsane, sono le dosi massicce di musica malata e tubercolotica dei Melvins, sono le bordate sonore caustiche e venefiche sotto forma dei Riff di Iommi e della batteria di Ward nei Sabbath. E' il marciume che prende vita e si compatta, scegliendo la palude della Lousiana al posto del prato all'inglese. New Orleans, delta del Missisipi. La sorgente del blues e del voodoo.

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Eyehategod: già dal nome capisci che non si tratta di cinque ragazzi di cielle. I-Hate-God: neanche Milton era stato così diretto, ma lui preferiva essere più sottile. Mike Williams - Voice Jimmy Bower - Guitar Brian Patton - Guitar Joey LaCaze - Drums Gary Mader - Bass Mike, Jimmy, Brian, Joey, Gary. Nel 1988 Jimmy e Joey vogliono partire da una base di hardcore punk molto violento e serrato, inserirci bordate alla melvins, creare una base blues malata e viziata e avvicinarsi, come coordinate, a quello che sarà lo sludge. O meglio, senza gli Eyehategod non ci sarebbe lo sludge.


Nel 1992 viene pubblicato uno degli album più claustrofobici, nichilisti, pessimisti e misantropi della storia: In the name of suffering. Il clima è insalubre e carico di tossine, con feedback e suoni volutamente distorti e cacofonici, in cui si incastonano le liriche di Williams, il nuovo profeta della desolazione e del'autodistruzione. Cinici, bastardi, affilati e violenti, pubblicano un disco in cui i riff sono compatti e le ritmiche sono serratissime, violente e strabordanti. Da avere senza dubbio.


Nel 1993 iniziano ad assaporare un pò di successo, con il secondo lavoro: Take as needed for pain, e vanno in tour con Corrosion of Conformity, Napalm Death e Godflesh. TANFP: c'è un lieve miglioramento nella produzione, ma l'incedere persiste sulla lentezza acida, sulla pesantezza al posto della velocità hardcore, sulla ripetetività massiccia di riff che azzannano alla gola, mentre la voce di Williams si fa sempre più devastata e trascinata, veicolando odio e vaticinando la prossima distruzione del pianeta. Attenzione, rispetto a ITOS si avvere un certo cambiamento, nella struttura dei pezzi e nella loro composizione, che appare più serrata e diretta come un calcio in faccia. Ma non è un augurio negativo, come se sperasse nella morte, piuttosto si tratta di un urlo rabbioso che proviene dal cuore pulsante della terra, un grido disperato che vuole soltanto comunicare il suo totale disprezzo per il menefreghismo e per il qualunquismo, la logica del profitto che schiaccia come un cingolato il benessere sociale. E' un nuovo modo di fare lotta sociale, stando lontani dalla city e spalando letame, per poi lanciarlo in faccia ai benpensanti, inzozzando i loro colletti bianchi. Nel 1994 Jimmy Bower, insieme a Phil Anselmo (Pantera), Kirk Windstein e Todd Strange(entrambi nei Crowbar) e Pepper Keenan (Corrosion of Conformity), da vita al progetto Down.
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Nel 1996, è la volta di Dopesick, ennesimo grande lavoro sludge, probabilmente il loro capolavoro. Probabilmente no, ma alla fine è tutto soggettivo negli EyehateGod. cambi di rotta oligofrenici, una soffocante e depecrabile aria satura di cattiveria e malignità, urla che si alternano a brani suonati molto bassi, sotto terra direttamente. Anche questo da avere, soprattutto per il fatto che nel 2006 sono uscite tutte le ristampe, contenenenti brani bonus. Peace thru war è un inno ed uno dei brani più belli della band; il titolo deriva dal fatto che i musicisti fossero tutti in condizioni pessime (sia mentali, che fisiche), con relative fughi in day hospital per incidenti durante le rec-sessions. Iniziano ad ottenere celebrità, grazie al tour con White Zombie e Pantera.
Fondamentali per chi volesse conoscere lo sludge.

Discografia:
* In the Name of Suffering (1992)
* Take as Needed for Pain (1993)
* Dopesick (1996)
* In These Black Days: Vol.1 (Split with Anal Cunt*) (1997)
* Southern Discomfort (Raccolta) (2000)
* Confederacy of Ruined Lives [quarto disco in studio](2000)
* 10 Years of Abuse (and Still Broke) (EP) (2001)
* Preaching the "End-Time" Message (Raccolta) (2005)

* Lo split con gli Anal Cunt (altro gruppo di pazzi schizzati) è un ep nel quale entrambe le bands tributano i Black sabbath, suonando diverse cover ma in tre soli brani (killing yourself to live, It's allright, sabbra cadabra, blow on a Jug per gli AC; Sabbath jam per gli EHG) a metà tra il grindcore e lo sludge.












Inoltre, per chi ama le cover segnalo un tribute agli (anti)eroi del marcio paludoso:

For the sick - a tribute to Eyehategod

Pubblicato l'anno scorso per la Emetica Records, tutta la devozione di altri old dirty bastards della scena sludge e non, che riversano il loro morboso amore per gli EHG in un doppio cd.

Questa la tracklist:

01. Dot - Man Is Too Ignorant To Exist
02. Unearthly Trance - Shinobi
03. Cable - Pigs
04. Bowel - Run It Into The Ground
05. Alabama Thunderpussy - Godsong
06. Deadbird - Children Of God
07. Kylesa - Left To Starve
08. Rue - Blank
09. Brutal Truth - Sister Fucker
10. Byzantine - Shop Lift
11. Buried At Sea - White Nigger
12. Raging Speedhorn - 30$ Bag
13. The Unholy 3 - Take As Needed For Pain
14. The Esoteric - Crimes Against Skin
15. Total Fucking Destruction - Kill Your Boss
16. Triac - My Name Is God (I Hate You)
17. One Dead Three Wounded - Dog'S Holy Life
18. Halo Of Locusts - Dixie Whisky

Sgabrioz

domenica 19 ottobre 2008

Acid Bath



Ci sono gruppi che sembrano nati per fare male. Altri, per portare freschezza, innovazione, e per superare i confini, netti o più labili, che separano un genere da un altro. Direi che gli Acid Bath possano tranquillamente rientrare in entrambe la categorie.

Iniziano come molte altre band, invischiati tra il Grindcore ed il Death Metal, per poi dare una prima sterzata alla loro carriera con il terzo demo, il già maturo Hymns of the Needle Freaks.


Trattasi di una vera chicca che consiglio a tutti gli appassionati della band in questione, perchè contiene le prime versioni di molti brani che diverranno poi celebri nelle incarnazioni dei dischi successivi (Scream of the Butterfly, Jezebel).
Già l'apertura, affidata all'orrorifica Dr. Seuss Is Dead, fa gelare il sangue nelle vene. Quell riff cadenzato, quella voce inizialmente in puro growl in stile Death, l'accelerazione centrale tipicamente di stampo Punk/Grind, costituiranno poi l'ossatura della proposta musicale degli Acid Bath nei dischi a venire. Una gemma che va assolutamente riscoperta, sia per l'importanza che ha rivestito nella loro evoluzione, sia per l'effettiva bontà delle canzoni proposte.

Dopo una lunga gavetta, i nostri danno alle stampe nel 1994 il loro primo full-lenght, When the Kyte String Pops.


Recensione di Neuros


Distorsione rumorosa e bizzarra, ecco che parte The Blue, sostenuta da un basso che richiama i gironi infernali pù depravati, mentre Riggs sbraita sopra le chitarre che entrano prima lente e poi alzano il tiro, su, verso il muso dell’ascoltatore, guardandolo negli occhi, e mostrando il proprio carattere strafottente, nel refrain stoppato più volte, dove Dax inizia a mostrare tutto il suo range vocale, quasi a volere incarnare l’immagine del bello e dannato, con un timbro caldo e ipnotico, che proprio quando pare conciliare, morde alla gola, tramutando la soave voce in uno scream acidissimo, che ben si amalgama alle tentazioni doom che portano alla fine della song, ma la melodia è presente, costante, stemperando la pesantezza di sei minuti di martirio sonoro.
Tranquillized parte veloce, con la voce pulita di Riggs a giostrare le chitarre taglienti di Sanchez e Duet, che incuranti dell’accostamento importante al sound dei Down, mordono alla gola, mentre la sezione ritmica disegna percorsi sublimi per uno scenario che si colloca tra lo stoner e lo sludge. Rallentamenti sabbathiani da brividi e introspezioni vorticose degne degli Electric Wizard, ecco le discese degli Acid Bath. L’inferno in terra, ma attira i nostri sensi. Ecco Cheap Vodka, una song punk travestita dalla melma degli acquitrini del sud degli States, sorretta di riff spessi, corposi e viscidi, che infettano ogni cosa entri in loro contatto.
L’influenza del Metal è fondamentale, in primis per la tecnica, davvero di livello altissimo, fatto che salta subito alle orecchie in sound così becero come lo sludge, e poi dicevamo nelle melodie. E naturalmente musicalmente parlando, alcune parti rasentano da vicino il death americano, soprattutto quello degli Obituary, come accade nella dannatissima Jezebel, aperta da un blast-beat e in Fingerpaintings of the Insane, dove stranianti keys di sottofondo rendono l’atmosfera agghiacciante, soprattutto nei momenti dove Riggs si lancia nel pulito, ed è questo il punto di forza : risultare abominevoli nelle parti meno tirate.
Da questa precisazione arriva la sublime e maestosa Scream Of The Butterfly.
Arpeggi caldi e inquietanti, sopra i quali si erige dannata la frustrazione di Dax, che colora quadri tristi e lontani, mentre le chitarre acustiche, ora pizzicate, fanno echo addirittura al folk e al southern rock, mentre il basso di Pitre regna onnipresente e il drumming di Kyle risulta vario e sopra le righe anche in una song acustica, il tutto mentre Riggs, strazia il cuore, rivolgendosi a una lei, che soffre, e non c’è più:

"She smiles like a child with flowers in her hair
with blood on her hands
into the sun she stares
She feels it die
I heard her cry...
like the scream of the butterfly"

Ed ecco che Dr.Suess Is Dead arriva a devastare i timpani, sorretta da vocalizzi infernali, questa volta sostenuti da Duet e Pitre, che oltre a cantare, stuprano la chitarra con riff che farebbero perdere i capelli a Buzz e Melvins al completo, così come ai Cathedral di oggi, davvero un muro di suono mastodontico e impenetrabile, che ci porta la terra direttamente alla bocca.
Dope Fiend pare essere una jam tra dei Kyuss indemoniati e una qualsivoglia formazione death in vena di scampagnate sludge, risutlando più ferali e violenti di entrambi gli esempi. Toubabo Koomi è un esperimento allucinato : una base punk\hc, dove i Melvins si divertono a suonare veloci e sguaiati, mentre nei refrain le chitarre assumono un carattere zanzaroso addirittura mutuato dal black, e quando questi finiscono lasciano lo spazio ad andamenti doom psichedelici da viaggio astrale. God Machine è un pugno sulle gengive costruito nuovamente su ritmiche death, sopra le quali si erigono chitarre che i Crowbar hanno sfoderato in una sola prestazione. Dannazione e disperazione, Mortician’s Flame, tutta sorretta dal basso abissale di Pitre, superbo nella sua prestazione, mentre Dax, con il suo eccletismo dona vita a un muro scarno e minimale, ma dall’impatto acidissimo. In What Color Is Death si può sentire come avrebbero suonato i Sepultura con Pepper Keenan ad affiancare Kisser, mentre The Bones Of Baby Dolls riprende la malinconia acustica di Scream of The Buttefly, che porta al finale delirio di Cassie Eats Cockroaches :
sludge in tutto e per tutto, schizofrenico e irrefrenabile sopra il quale si innalzano campionamenti presi da Arancia Meccanica di Kubrick.
Del resto cosa si può aspettare da una band che fa disegnare il proprio artwork dal serial-killer John Wayne Gacy, un giovinotto che ha stuprato e massacrato 33 uomini?
Un lavoro spesso dimenticato, ma forse la summa di quello che è lo sludge, in tutta la sua evoluzione, pur mantenendo i propri confini.

La risposta del pubblico, anche a causa della difficoltà del genere proposto, è molto tiepida. I nostri non si perdono d'animo e pubblicano, due anni più tardi, il loro secondo ed ultimo disco, Paegan Terrorism Tactics.


Con questo disco, gli Acid Bath si rinnovano ulteriormente, lasciando da parte spesso le influenze Grind per dedicarsi ad uno Sludge a tinte Doom, di sicuro molto più metallico di quello del lavoro precedente, senza disdegnare come al solito la melodia, che è presente anche in maggior quantità. Già nel primo pezzo, Paegan Love Song, possiamo avvertire questo cambiamento: riff cadenzato tipicamente sabbathiano, mentre anche il cantato nelle parti in pulito ricorda la tradizione Hard Rock. Pur essendo questo il brano più vecchio stile del disco, troviamo la spia di quello che sarà il resto dell'album: Bleed Me An Ocean riprende la tradizione Doom Metal, così come molti altri pezzi che seguono. Ovviamente ci sono anche diversi elementi di novità, immancabili nella musica dei nostri: Graveflower ci sorprende con un cantato che ricorda addirittura il Grunge ed in particolare Layne Staley, immerso in atmosfere quasi Dark. Atmosfere che vengono riprese anche nella lunga, splendida ballata New Death Sensation, gotica e decadente. Ovviamente gli Acid Bath non sono dimentichi del loro passato, e ci deliziano con stangate a metà tra il Death Metal ed il Grindcore (13 Fingers) da far tremare i muri.
Un disco eterogeneo, meno marcio e del precedente e forse per questo meno rappresentativo del genere: le tinte Dark vanno per la maggiore, in contrasto con l'attitudine Punk che invece aveva caratterizzato When The Kite String Pops. Troppo spesso sottovalutato, considerato il "fratello minore", in realtà non ha molto da invidiare all'esordio, anzi alcune soluzioni meno grezze e più melodiche sono veramente notevoli.

Un gruppo che aveva veramente molto da dire, e ci è riuscito in soli due album. Musica grezza e marcia non adatta a tutte le orecchie, tematiche "forti" e di difficile assimilazione. Gruppo troppo spesso dimenticato, costituisce in realtà una delle massime espressioni dello Sludge; senza dubbio va riconosciuta la loro importanza storica e la ventata di aria fresca che han portato in un genere per natura poco incline a contaminazioni.

Discografia:
Hymns Of The Needle Freaks (Demo) - 1993
When The Kite String Pops - 1994
Paegan Terrorism Tactics - 1996



Monografia: Alphadj
Recensione "When The Kite...": Neuros