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martedì 9 dicembre 2008

Death - Leprosy (1988)

Etichetta: Combat/Under One Flag
Anno: 1988

Line Up:
Chuck Schuldiner - vocals, guitar
Rick Rozz - guitar
Bill Andrews - drums

Tracklist:
1.Leprosy
2.Born Dead
3.Forgotten Past
4.Left To Die
5.Pull The Plug
6.Open Casket
7.Primitive Ways
8.Choke On It

Un anno dopo ed è già tempo di un altro studio-album. Chris Reifert lascia, cedendo il posto all'ex-Massacre Bill Andrews: band, questa, in cui avevano già militato membri dei Death, ovvero Kam Lee, Terry Butler e Rick Rozz, presente su "Leprosy". Sebbene nei credits dell'album venga segnalato Terry Butler, è di nuovo Chuck in realtà, ad occuparsi delle linee di basso. "Leprosy" viene ricordato con un enorme sorriso sulle labbra da un'intera generazione di seguaci dei Death. E' l'album della svolta: i testi stavolta sono di carattere esistenziale, senza rinunciare ad una lieve riga di cruda realtà.
Musicalmente, "la lebbra", si espande sull'ascoltatore in poco più di tre quarti d'ora, a cavallo tra le ritmiche forsennate del debut-album, e trame chitarristiche molto tecniche, veloci, SPORCHE, ma proprio per questo "ascoltabili", che si lasciano ricordare subito. La batteria cade giù come un macete, la titletrack viene lanciata con un screaming che ricorda tanto il "...dieee!!!..." di "Infernal Death" e rappresenta il primo pezzo di lunga durata composto dalla band. Ha dei grandi solo di chitarra, ed una struttura che segue una linea ben precisa, molto coinvolgente: siamo ancora ad inizio disco, e Chuck già comincia ad abituarci ai suoi testi speciali.
La titletrack, che prende spunto da un film horror di Carpenter in cui una colonia di lebbrosi vengono portati con un vascello versola morte, recita infatti così:
[...] ...L'aspetto deforme dei corpi oltre ogni conoscenza, cacciati via dalla loro società"
...Il diverso del mondo oscuro è ciò che la gente dice...
...L'aspetto diviene orrendo uno sguardo è troppo da ricevere...
...Le loro vite cadono in rovina prima dei loro occhi [...]
Questa riflessività, questa maturazione che ritroviamo nei testi, si sposa perfettamente con il lato lirico più "crudele" della mente di Chuck. Sempre in Leprosy poco dopo egli dice:
"Prima un braccio poi una gamba...Il deterioramento cresce...marcendo mentre respirano... la morte arriva lenta".
La lebbra, poco più, poco meno, diretta in faccia all'ascoltatore. Una malattia che vi colpirà sia concettualmente, che musicalmente: la sezione ritmica in questo cd è strabiliante. Monolitica, ossessiva.
Alla classica canzone d'apertura, segue "Born Dead" massiccia e intricata quanto basta, che parla di rassegnazione del nulla dopo la morte:
"una vita di miseria, presto diventerai un cadavere".
Rick Rozz alla chitarra è impeccabile, il suo apporto è indispensabile, soprattutto nella coppia "Forgotten Past" / "Left To Die". Senza fronzoli, viene raccontato un passato ormai svanito:
"...Nel profondo della tua mente c'è un altro lato
una morbosa verità che non può nascondere:
incredibili spargimenti di sangue
erano all'apice del tuo passato..."
Un passato macchiato di errori, di delitti o cosa? Sarà una metafora riferita a qualcosa di più "metafisico" o Chuck desiderava realmente persistere con quelle tematiche così difficili da mandar giù? "Leprosy" rappresenta quindi un cambio fortemente drammatico, un album dedicato totalmente alle tragedie umane di ogni "quando" e "dove". Per quanto riguarda "Left To Die", finalmente abbiamo qualcosa che si avvicina maggiormente al tipico Death-sound. L'intreccio di chitarra iniziale, scorre via una bellezza, mentre la voce soffocata ripete
"Non ritornerai vivo -- lasciato morire...soffrendo fino alla fine -- lasciato morire...".
In questo lavoro c'è anche "Pull The Plug", una canzone coverizzata da tantissime bands, suonata il20 dicembre del '91 anche con Chris Barnes in veste di guest, durante il tour di "Leprosy" assieme a Napalm Death, Pestilence, Cannibal Corpse e Dismember. Ha qualcosa in comune "Forgotten Past", che parlava di una verità nascosta; una verità che viene poi lacerata e fatta sparire con la canzone manifesto (almeno per i tanti) di questo platter. "Open Casket" destruttura i migliori Slayer, con maggiore spazio per il lavoro dietro la batteria, mentre la finale "Choke On It" ci lascia nel migliore dei modi. Il basso è una macchia d'olio, tra assoli distorti, e l'avvelenamento dopo il secondo minuto, quando Chuck affoga la sua chitarra nell'acido, dandoci in pasto una parte solista incredibile.
In tutta la durata di queste otto canzoni, i Death ci regalano musica feroce, ma elegante, anticipatrice già di un genere che verrà poi proposto trito e ritrito nel corso degli anni.
Sempre con noi...

Davide Montoro

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