Creative Commons License
Rock e Dintorni by Rock e Dintorni is licensed under a Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia License.
Based on a work at rockedintorni.blogspot.com. .: Tomahawk - Tomahawk

sabato 8 novembre 2008

Tomahawk - Tomahawk





anno:
2001

label: Ipecac recordings

Line up:
Mike Patton - voice, samplers
Duane Denison - guitar
John Stainer - drums
Kevin Rutmanis - bass

Tracklist:
01. Flashback
02. 101 North
03. Point and click
04. God Hates a coward
05. POP 1
06. Sweet smell of success
07. Sir, yes, Sir
08. Jockstrap
09. Cul de sac
10. Malocchio
11. Honeymoon
12. Laredo
13. Narcosis

Se dovessi provare a definire ed a sintetizzare la musica dei Tomahawk in una sola parola, credo che “raptus” sia quella più azzeccato, oppure potrei accontentarmi di un altro termine psichiatrico, ma sarebbe fiato sprecato. Prima di iniziare l’ analisi delle singole tracce di cui si compone questo lavoro, vi devo avvertire. Le mie parole saranno solamente la trascrizione su Word delle sensazioni e delle immagini che si formano nella mia testa (deviata dopo anni e anni di rock) quando ascolto un disco del genere. Puntualizzato ciò, caliamoci nell’ atmosfera ed iniziamo. Si apre il tutto con “Flashback”, intro inquietante che ricorda un serpente a sonagli che ci avvolge tra le sue spire, paralizzandoci e lasciandoci inermi ad aspettare il prossimo attacco. La voce di mike Patton è sibilante , per via dei toni che tiene bassi, quasi un sussurro prolungato, ma che ben presto si trasforma in un urlo spasmodico, mentre il veleno, dolce come nettare, ci è gentilmente offerto dalla chitarra di Denison. Una caratteristica del disco, oltre ad aver un leit motif (l’ ansia, la potenza, la claustrofobia celata dietro la magnifica struttura della melodia), è rappresentato dalla durata delle tracce. Tredici canzoni, di cui ognuna sfiora i tre minuti -chi più, chi meno- ma mai insipide e buttate a caso nella mischia, è incredibile come queste canzoni siano così efficaci e belle, da lasciarci a bocca asciutta quando ci accorgiamo che anche l’ultima nota è andata ed il disco è finito. E’ il turno di “101 North”: le risate iniziali non ci tranquillizzano, si ode una vocina che ricorda vagamente la “Rosemary’s Baby” dei Fantômas: spettrale, distorta ed allucinogena, grande merito va agli effetti di Patton. La colonna sonora prefetta per il classico triller in cui scompare un’ autostoppista. “Point and click” comunica affanno (qualche piccolo contatto con le sensazioni ambigue offerte dai dischi dei Tool, per intenderci), la voce ricorda gli ultimi dischi dei Faith No More (King for a day e Album of the year), con qualche aggancio meno sofisticato ai Jesus Lizard. God Hates a coward” è forse il pezzo migliore di tutto l’ album, dove Mike usa due timbri vocali. Il primo ci ricorda la trasmittente usata dagli steward sugli aerei, per le comunicazioni di emergenza, mentre nel ritornello usa gran parte della sua potenza lirica per caricare ancora di più l’ ascoltatore, mentre il gruppo realizza una trama sonora fittissima, più intricata della ragnatela in cui cadono le povere mosche. E indovinate chi fa la parte del predatore in questo vortice che ci risucchia al suo interno? Non si sono appigli, lasciatevi cadere. Come se non bastasse arriva “POP 1”, in cui la batteria scandisce il tempo come infiniti granelli di una immaginaria clessidra, inesorabile ed interminabile. “Sweet smell of success” è una suadente ninna nanna, che nasconde un pericolo, uno dei pezzi più alti del disco, che ricorda “Album fo the year” ed in particolare un pezzo come “Ashes to ashes”. Il feedback finale è la ciliegina sulla torta. “Sir yes Sir”, traccia con un groove incredibile è caratterizzata da un grandissimo pezzo di basso che regge tutta la baracca. E’ un pezzo quasi-crossover con voce ed urla veloci e brutali. “Jockstrap” è inquietante, sembra un macabro musical, in cui la chitarra ci punzecchia con malignità indossando un ghigno divertito. “Cul de sac”, è un carillon rotto, “Malocchio (che ci ricorda che Mike è molto superstizioso, infatti indossa sempre un cornetto d’ oro come portafortuna) è una forma raffinata di tortura. “Honeymoon” ricorda il sound delle colonne sonore dei film di fritz lang e di alcuni capolavori del Calibro di cape Fear e Twin peaks. “Laredo” è una delle prove più entusiasmanti della bravura di Denison, perforante ed accecante nel puro stile Jesus Lizard. “Narcosis” ci lascerà perplessi,
perché sembreranno dei canti gregoriani eseguiti da bonzi tibetani, mentre la sezione ritmica inesorabile ci ricorda che il disco è finito. Ma badate bene, dopo aver ascoltato una perla del genere, vorrete averlo in loop fisso nel vostro impianto, perché sarete così masochisti da voler dire “ancora, ancora, ancora”.



Sgabrioz

Nessun commento: