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domenica 9 novembre 2008

Neurosis - The Word As Law

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Anno: 1991 Label: Lookout Records

Tracklist :
1. Double Edged Sword – 4:05
2. The Choice – 4:07
3. Obsequious Obsolescence – 5:12
4. To What End? – 6:23
5. Tomorrow's Reality – 5:47
6. Common Inconsistencies – 4:24
7. Insensitivity – 0:47
8. Blisters – 7:18
9. Life On Your Knees – 2:54
10. Pain Of Mind – 3:10
11. Grey – 3:01
12. United Sheep – 3:15
13. Pollution – 4:09
14. Day Of The Lords – 5:17
15. Untitled – 10:41

Line-Up:
Dave Edwardson (bass)
Scott Kelly (guitar, vocals)
Steve Von Till (guitar, vocals)
Jason James (drums and percussions)

Aria di cambiamenti.
Dopo due anni di rodaggio in fase live e di maturazione a livello strumentale, il combo, capitanato da Edwardson e Kelly, comprende le proprie capacità, e cercano di fare mente locale su cosa potranno essere i Neurosis in futuro. Il primo passo è la dipartita di Chad Salter, sostituito dal giovane e talentuoso Steve Von Till, ragazzo con la passione per il metal old school, ma anche (soprattutto?) per la musica folk statunitense, quella che puzza di bettole, sudore e paesaggi sconfinati.
Il secondo passo e chiudersi negli Sound & Vision Studios di San Francisco dove nel dicembre dell’89, vengono composte le track inedite, mentre nel febbraio del 1991, la band sceglie di aggiungere alcune track di Pain Of Mind registrate in maniera migliore, una track dell’ep Aberration (1989), una cover e un hidden track di cui ci occuperemo in seguito.
La band pare fermarsi a riflettere, mentre in California cominciano ad affiorare i dissapori per le enormi disparità economiche tra gruppi sociali, causate dalla statica situazione finanziaria Usa (caro-petrolio), e le infamanti situazioni di pregiudizio razziale, che andranno a influenzare pesantemente il mood del successivo full-length, che porteranno a una vero rapporto tra Io e Società, mentre in questo pervade la denuncia, e una rabbia sopita, che desidera emergere, ma lo fa a piccole dosi, covando la maggior parte del sentimento, in modo tale da trasformarlo in cura.
Double Edged Sword parte con un arpeggio soffuso (saranno l’elemento nuovo dell album, dovuti all’ingresso di Steve Von Till) che apre le danze infernali della song sostenuta da riff maligni e dal basso abissale di Edwardson, una song dai tempi sostenuti che riprende la furia di Pain Of Mind, ma la plasma in un mood più ragionato e meno caotico, impreziosito da ispiratissime chitarre che nella parte centrale rallentano facendo da roccaforte alla disperazione vocale di Scott in un finale che richiama le mastodontiche dicese dei Metallica, una song di protesta e incertezza verso il futuro dell’uomo, sempre più diviso tra il denaro e la felicità. The Choice parte cadenzata sorretta da virtuosismi di basso sempre manipolati da Dave, contribuendo a mantenere la song su ritmi sostenuti ma non forsennati, e sui quali si erigono anche le vocals di Steve, più sporche e gutturali di Scott, creando un intrico sonoro semplice e pregevole; i riff sono mortiferi ma mantengono una giusta dose di melodia grezza e affascinante. La song si portrae in questo modo fino a spegnersi nel finale, presentandoci il riff industriale (nuove avvisaglie sonore) di Obsequious Obsolescence, sulla cui distorsione arriva come al solito Edward con il suo basso a rendere il tutto asfissiante e malato, perverso, come i riff che subiscono una frenata brusca, garantendo alla song un incedere granitico davvero ostico, che esplodono in repentine e sfuggevoli accelerazioni che danno dinamicità alla song, grazie anche agli arpeggi che compaiono nel finale (anche questi monito del sound che verrà) . Il cammino sofferto prosegue con To What End? Dove riff semi-distorti ci introducono verso un martirio sonoro dale chiare influenze marcie del sound sabbathiano. Anche qui arabeschi ascustici donano un’atmosfera malsana alla song che prosegue imperterrita il suo cammino di nichilismo e graffiante dolore, come poteva essere nella triade Self Taught Infection-Reasons To Hide-Black del precedente full-length. L’album è ostico, un vero pugno di fango scagliato verso l’ascoltatore dove meglio son focalizzate le primigenie influenze, impreziosite dal chitarrismo mai banale di Steve. La band continua a camminare nel tortuoso percorso della propria musica con l’oscura Tomorrow's Reality, song che analizza i rapporti ipocriti tra gli uomini, dove emergono le influenze della nascente corrente sludge statunitense, alla quale anche loro hanno contribuito, ma ben presto se ne distaccheranno, lasciando l’onere di questa evoluzione agli Isis. Un possente muro sonoro difende la song da qualsiasi intervento di melodia, dando vita a una cornice malsana che tale rimane anche quando i ritmi si alzano, sorretti dal drumming semplice ma preciso di James. Common Inconsistencies si apre apocalittica con campane funeree che adornano distorsioni marce , adibite da antipasto per una song deviate fino al midollo, che per nevrosi procurata di avvicina nuovamente alle visioni del noise. Insensitivity è la scheggia che non ti aspetti del lotto. Un vortice sonoro dove ogni tassello è al suo posto : dal basso di Dave , adito a toccare le più profonde cavità della nostra pische alle chitarre acide e sui generis di Scott e Steve, passando per l’efficace drumming di James e i testi acidi sull egoismo delle masse. 47 secondi dove si rasenta la perfezione. Blisters è l’ipnosi messa in musica, costruita sugli arpeggi di Steve e sul basso metrnomo di Dave, sopra i quali si erige la voce dal carattere quasi dubbioso nel suo incedere di Scott. La song è lunga, cesellata anche dalla comparsa di pesanti riff di sottofondo e un semplice solo nel finale molto epico, supera i sette minuti di durata, fatto inconsueto per la band del periodo, nella regola per i canoni Neurosis post 1992. L’album prosegue con quattro song riprese dall’esordio e vestite con nuovi abiti di produzione, che ci portano così agli ultimi due capitoli dell’album. Il primo di questi tratto dall’ep Aberration (1989) è Pollution. Una song noise deviatissima e ipnotica dove le chitarre creano arabeschi stranianti prima di sfociare in una cavalcata memore dei precedenti furori hardcore. Non è finito il cammino perché a incorniciare l’album arriva la stupenda cover dei Joy Divison “Day Of The Lords”, bella, bellissima, che non snatura il carattere oscuro e intrigante dell'originale, arrivando così all’Hidden Track finale. Lenta, funerea, strumentale. Il nucleo del sound Neurosis futuro risiede tutto in quei dieci minuti finali, padri non-voluti di un certo sound drone che verrà (non per i Neurosis). Sofferenza pura, instabilità mentale emergono dal maelstrom sonoro conclusivo, che si spegne, mentre ancora ci si chiede il perché di tutto ciò.
Il ponte è costruito, ogni mattone è al suo posto, ora può essere attraversato.
Sull’altra sponda del fiume c’è l’Evoluzione che segnerà la musica d’avanguardia.

Neuros

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