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Based on a work at rockedintorni.blogspot.com. .: The Jesus And Mary Chain - Psychocandy (1985)

mercoledì 1 ottobre 2008

The Jesus And Mary Chain - Psychocandy (1985)


Anno: 1985 Label: Blanco Y negro/WEA

Tracklist:

1. Just like honey
2. The living end
3. Taste the floor
4. The hardest walk
5. Cut dead
6. In a hole
7. Taste of Cindy
8. Some candy talking
9. Never understand
10. Inside me
11. Sowing seeds
12. My little underground
13. You trip me up
14. Something's wrong
15. It's so hard

Line-up:

Jim Reid (voce, chitarra)
William Reid (voce, chitarra)
Douglas Hart (basso)
Bobby Gillespie (batteria)

Il termine “pietra miliare” indica solitamente, quel lavoro in ambito artistico-musicale, capace di mutare ed innovare la scena dell’epoca, e la cui seminalità ed importanza si riscontra non solo negli anni immediatamente a seguire, ma anche a decenni di distanza. Se Velvet Underground & Nico (1967) è stato capace di lanciare l’astro di Lou Reed e di influenzare tout court il modo di fare musica (sperimentale, alternativa e underground), allo stesso modo i suoni proposti dai fratelli Reid sono “responsabili” dell’ondata shoegaze e noise (pop o rock) che si è abbattuta inesorabile a partire dalla fine degli anni ’80, l’ha fatta da padrona nei ’90 ed è tuttora una delle più arzille e creative. Nomi storici e di grandissimo calibro: Sonic Youth, My Bloody Valentine, Slowdive. Lo shoegaze (traducibile liberamente in “guardascarpe”) è uno stile di rock che fa della distorsione e del feedback, con tutti gli effetti simili e derivati, la sua religione: ispiratori di questo movimento furono i Velvet Underground, soprattutto con il disco White Light/White Heat (1967) in cui è contenuta “Sister Ray” uno dei primi pezzi noise, 17 minuti di pure deviazioni soniche. La ricerca – quasi animalesca – di suoni distorti, allucinati ed anfetaminici, spinge i vari musicisti a creare massicce barriere sonore, innalzando veri e propri muri in cui i sensi sono espansi in una sorta di new way of psychedelic mood. Psychocandy è indubbiamente uno dei capolavori degli anni ’80, segna il passaggio tra la vecchia new & dark wave (Joy Division in testa, soprattutto per il modo di suonare il basso: cupo, pieno, distaccato e protagonista), la frequenza esagitata del punk, ed un nuovo stile di intendere le canzoni pop rock. Il gruppo di Glasgow non è solo incredibilmente influente, imprescindibile per ogni buon amante del rock, ma è stato capace di devastare l’uso della chitarra mantenendo un certo suono datato (VU e Stooges, il gruppo di Iggy Pop, anch’esso della fine dei ’60) e stupendo, mischiando il tutto con personalità ed una buona dose di pop e melodie easy listening ed orecchiabili. Just like Honey è il pezzo più famoso dei Jesus and Mary, entra in testa e rilascia i germi dello shoegaze: lo stile è tipicamente quello di Lou Reed, pacato, gentile, raffinato e drammaticamente commovente. Una delle canzoni d’amore più belle e struggenti che abbia mai ascoltato, un inesauribile lamento di un amante disperatamente innamorato della propria donna: immaginatevi un uomo avvolto nel suo cappotto, che cammina da solo in una parco al tramonto, mentre il vento freddo dell’autunno lambisce il volto. Si siede su una panchina, dopo aver spostato un vecchio quotidiano, incrocia le braccia, accavalla le gamba e riflette su quanto effettivamente ami una persona, osservando il tramonto, specchio del futuro. Non importa se è umiliante o faticoso, l’unica cosa che veramente conta è amare e fare di tutto per soddisfare e rendere felice qualcuno. E’ interessante come lui stesso ammetta la sua totale condizione di uomo-zerbino: Walking back to you, Is the hardest thing that I can do, That I can do for you. Ill be your plastic toy. The living end è una storiella macabra, caratterizzata da un umorismo nero: ha la carica sprezzante del punk, il sistema di canto è ancorato alla ripetizione della stessa strofa per tutta la canzone, mentre lo stile è postpunk i cui tempi permettono anche di ballare su questo ritmo. Racconta le vicende di un motociclista, egocentrico ed innamorato di sé stesso, incosciente e pronto di tutto pur di appagare la sua sete di velocità: la sua mente non è lucida come il suo chiodo, ma poco importa se sei padrone della strada e la divori sentendo il vento freddo tra i capelli. Ma ad un certo punto si accorge che la velocità è alta. Troppo alta. Non controlla la sua bestia. Ma chi se ne fotte: è una scarica di adrenalina che ti fa vivere sul serio. La frenesia sonora aumenta, assieme alla distorsione. Quando sei al limite, in bilico, nulla ti può fermare. Tranne un albero. My head is dripping into my leather boots.. E’ un esempio di pubblicità progresso, se vogliamo. Taste the floor è realizzata su un impianto luci psichedelico e deviato, una vera dissertazione della deviazione effettata con il feedback: è un modo come un altro per indicare la sbornia ed il grado di allucinazione dato dalle sostanze psicotrope. La musica riproduce la confusione mentale ed lo stato di alienazione e di perdita di contatto con la realtà: la voce è incessantemente e clamorosamente dark wave, mentre un misto di timore, paure e teoremi assale la mente. The hardest walk riporta la musica ad un livello più pop, tipico degli anni ’80: basso pompato, chitarra martellante e diretta: è la spiegazione di cosa si prova quando si desidera lasciare una persona che ancora vi ama. The hardest walk you could ever take, Is the walk you take from a to b to c. Cut dead è una ballata venata di malinconia e di speranza, per un futuro in cui la sofferenza ed il dolore siano solo un triste ricordo spiacevole, ma passato. Avete presente Transformer di Lou Reed? E “walk on the wild side”? ecco, lo stile è praticamente quello, a parte l’assenza del coro di voci femminili. In a hole è il grande ritorno della distorsione e della tecnica allucinogena di perforarvi il cranio, ma in maniera piacevolissima e terapeutica: è un elettro-shock di vibrazioni per sinapsi, un dono prezioso per aprire la vostra mente ed analizzare il vostro modo di intendere la musica. Taste of Cindy è il pezzo più breve del disco , appena un minuto e quarantadue, in cui viene ripreso il punk, la melodia new wave su cui molti gruppi attuali (Franz Ferdinand, Kaiser Chiefs, The Killers, Bravery) hanno costruito interi lavori discografici. Some candy talking è un altro diamante dell’album, l’ennesima piccola gemma che va ad incastonarsi in maniera meravigliosa in questo masterpiece del 1985, le parole sono inutili quando sono solo i sensi a poter descrivere in maniera oggettiva la bellezza di certe canzoni. Never Understand è un interminabile flusso di coscienza, dove il plettro conduce in una freudiana marcia verso l’inconscio con tanto di basso e batteria suonati con precisione chirurgica, urla pre-lobotomia, pischedelia nel termine oscuro di farmakon. Inside me è una discesa verso i confini abissali della mente, una spirale noise e rumorosa, la cui base ritmica rimane il basso suonato in maniera ineccepibile e la voce capace di adattarsi a diversi registri. Sowing seeds combina la batteria pseudo elettronica, la chitarra simil acustica ed una cantato reediano in una somma algebrica pop rock: la sensazione che traspare è la richiesta di pace e tranquillità, di calma e silenzio adatta al riposo, panacea per lo stress mentale. My little underground è un vivissima trasposizione del post punk nel mondo del gruppo di Glasgow: la chitarra è storpiata, smussata, plasmata, dimenticando parte dei suoni canonici ed acquistando un sound completamente rinnovato e accattivante. You trip me up, dal testo abbastanza significativo: dimostrazione di come una relazione possa risultare machiavellica, spaccapalle e autolesionista. Something’s wrong e It’s so hard sono due pezzi particolarmente carichi, i due più particolari, surreali e violenti. Non dal punto di vista della durezza o della rocciosità del suono, ma quanto unoa violenza mentale, degna conclusione di questo disco. In sintesi voi cosa dovete fare arrivati a sto punto? Me ne fotto! Compratevi il disco e non rompetemi le bolas. Ma siete ancora qui? Pensavo vi foste annoiati già alla settima riga.
Volete il voto? 9 su 10. E chi se ne frega se è troppo poco, o se è esagerato.



Sgabrioz

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