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mercoledì 8 ottobre 2008

Hawkwind, Hawkwind (1970)




Anno: 1970


Etichetta: United Artists

Tracklist:
1. Hurry On Sundown
2. The Reason Is?
3. Be Yourself
4. Paranoia (Part 1)
5. Paranoia (Part 2)
6. Seeing It As You Really Are
7. Mirror Of Illusion

più bonus tracks nell'edizione rimasterizzata del 1996
8. Bring It On Home
9. Hurry On Sundown
10. Kiss Of The Velvet Whip
11. Cymbaline


Non si contano le band ispirate dagli Hawkwind, potremmo stare qua a parlare di tutto lo space rock, che vede negli Hawkwind il suo punto d'inizio, dello stoner rock, che si abbevera a piene mani dalla sorgente hawkwindiana, ma anche di una serie di altre band dagli anni 70 ad oggi, persino in ambito pop come gli Spiritualized, My Bloody Valentine e piu o meno tutto il post rock che va dal 1996 in poi, e tutti i suoi derivati. D'altra parte anche gli stessi Hawkwind non sono che il risultato finale di tutto quel grande movimento rock psichedelico della metà dei 60 in poi, come infondo risultato finale fu anche il kraut rock, ma per quanto mi riguarda, quello penso che possa considerarsi come un ponte per una musica altra dal rock, mentre lo space resta assolutamente inserito nella compagine rock tradizionale, fantascientifico e futuristico ma dannatamente legato all' esperienza hippy anni 60, perchè è proprio in quel mondo che i membri della band si conoscono e iniziano a suonare insieme, in una comune a Notting Hill Gate, quartiere popolato di freak; il loro linguaggio musicale non era "di rottura", era solo l' estrema conseguenza delle allucinazioni sperimentate in quell'ambiente, che presto erigerà gli Hawkwind a guide spirituali verso altri mondi, con le loro esibizioni metamusicali che univano scenografia, luci, danza e musica in modo tale da ottenere un rituale che va ben oltre il concerto, e si spinge nel territorio dell'ascesi mistica, tra droghe a volontà e suoni che simulano il viaggio interplanetario.Nell'esordio degli Hawkwind, la formazione era la seguente: Dave Brock (voce, armonica, percussioni e chitarre); John A. Harrison (basso); Huw Lloyd (chitarra solista); Terry Ollis (batteria); Nik Turner (sax, voce e percussioni); Dik Mik (elettronica).L'intento dichiarato della band era far elevare le menti, con una esperienza audio-video, attraverso l'uso dell'elettronica e dei fiati per creare atmosfere che richiamassero la fantascienza, suoni e rumori che sembrano riecheggiare il vento interstellare o l'atmosfera densissima di un pianeta sconosciuto o ancora il rumore di una macchina spaziale che lascia la terra e si immerge nel suo viaggio. è qua che emerge la curiosità e l'amore per le nuove esperienze che unisce la cultura freak alla voglia di esotico e all'interesse scientifico/astronomico tipico di quegli anni.Le suggestioni elettroniche (che comunque in quest'album restano solo sullo sfondo) si intrecciano in una palude di suoni che procedono lentissimi e leggeri, pronti a volare via, come foglie al vento. La matrice è quella acid rock; le conseguenze invece sono imprevedibili, si parte da un pezzo convenzionale intitolato Hurry On Sundown, un semplice folk rock blueseggiante, dove fanno da protagonisti una splendida chitarra a 12 corde e l'armonica, all'astrazione totale di Paranoia. Il brano d'apertura riporta le classiche tematiche hippy, l'attesa di un nuovo giorno, l'angoscia della guerra, e soprattutto un senso di solidarietà che viene fuori nella conclusione del brano, una specie di "epopea freak", una specie di Odissea moderna, il cui prologo è appunto Hurry On Sundown, ed il viaggio che si intraprende non è un'avventura nei mari, ma un'avventura nello spazio, allegoria di un trip nella propria mente, ancora più solitario e personale dell'introspezione dell' "Ulisse" di Joyce, ma vissuto insieme da un insieme di gente legata da un "sentire" comune; quindi si tratta di una introspezione di gruppo, celebrale eppure esteriorizzata, a-teistica eppure profondamente religiosa. esiste una versione alternativa del brano, che potete trovare nell'edizione rimasterizzata dell'album, come bonus track; diversamente dall'originale è piena di eco, effetti e aperture lisergiche, sax e un'altra chitarra (che presenta un assolo molto più in linea con quelli presenti nel resto dell'album) al posto dell'armonica.The Reason Is ---> il viaggio è incominciato, niente parole, solo suoni, niente musica, niente melodia, pura e semplice simulazione rumoristica del vento che solca la crosta di un pianeta, una piccola orchestra suona una sinfonia da viaggio mentale, suoni senza ne capo ne coda in 3 minuti saturi di strumenti e trovate geniali per suggestionare l'ascoltatore, su tutto ciò che impressiona è il sapiente uso dei piatti da parte di Ollis, batterista raffinatissimo che impara a simulare i rimori del mondo e delle cose della natura (questa o chissà quale natura aliena). 3 minuti e mezzo che sintetizzano e oppongono di contrasto all'incipit il sound stravolto degli Hawkwind.Be Yourself ---> "Be yourself, see yourself / I can see others like me / Be yourself, see yourself / Try and find peace of mind" poche parole recitate, scandite come farebbe un predicatore più che un cantante (e qua ci si ricollega a quella concezione mistica-religiosa della musica), che esprimono ancora una volta (come si divceva in apertura) un senso di appartenenza ad una classe di persone tutte accomunate da questo grande viaggio, nonchè basate su di una stessa weltenshaung. Dopo poco si entra nel vivo del brano, e non sentiremo più nessuna voce, solo un ritmo primitivo disegnato da batteria e basso, grazie al contributo creativo di Harrison , grandioso bassista avente background jazz e appassionato di musica ballabile, ed è proprio questo intento che viene fuori in questo pezzo: un ritmo diabolico, un basso penetrante e gommoso, ipnotico, elettrizzato da dinamismi spaventosi; in un gioco cattivissimo con la batteria (tra il selvaggio e il tribale) anche qua assurdamente scomposta in decori tutt'altro che usuali in ambito hard rock. questa è la parte ritmica più ballabile che io abbia mai sentito in vita mia, musica fatta per far muovere il culo, ritmo palpabile e materico, durissimo, in costante contrasto con il fluttuare aeriforme dei solismi di sax(prima), di chitarra(dopo) e di percussioni (nel finale), momenti emozionanti, estasi sonora, stravolgimento interiore, siamo nel vivo del viaggio ormai e tutto ciò che si sente consiste nel rumore del motore che esplode e sputa fiamme in questi 8 minuti. meravigliosa. totale.Paranoia ---> il bad trip inizia, le allucinazioni iniziano a fare brutti scherzi, qualcosa nell'ascensione siderale non va per il verso giusto, l'angoscia penetra dentro di noi, un altro brano strumentale, non c'è niente da cantare e non c'è niente da ballare, dimenticate le assurde e lussureggianti esplosioni soniche dei pezzi precedenti, resta uno strascico glaciale, pieno di...vuoto, di senso del vuoto. Un disturbo ossessivo trasformato in musica, paranoia...appunto. Strumento principe del brano è il sintetizzatore di Dik Mik che, in coppia col sax, elabora atmosfere inquietanti e desolate, in un ciclone di singhiozzi elettronici ripetitivi che estenuano l'ascoltatore, in poco più di 5 minuti. siamo dalle parti dei Kraftwerk del primo album e dei Pink Floyd, che sono la fonte di ispirazione principale per la band (infatti proprio nel remaster troviamo come bonus track la cover di "Cymbaline").Seeing It As You Really Are ---> il brano prende forma dalle ultime paranoiche evoluzioni del pezzo precedente, e infatti ne è l'estremizzazione, nonchè l'apoteosi dell'album intero, che inizia come un pezzo dei futuri Neu! (che esordiranno nel 1973) tra eco, interferenze, ed il suono del vento, e si evolve in una sfilata eterogenea e anarchica di suoni tra il tecnologico, il sinfonico e la jam session impazzita, in 11 minuti di pura pazzia, tra i quali si sente il fluttuare di corpi in assenza di gravità, sospiri e cuori di chissà che genere di organismi che pulsano e sobbalzano. dal terzo minuto esplode un assolo spiazzante di Huw Lloyd, liquefatto su una tavola di elettronica in grandi quantità, sullo sfondo si agitano percussioni marziali e nervose, e dal sesto minuto tutto ricomincia a confondersi in un'altra serie di suoni alieni, e dopo altri 2 minuti di noise elettronico ante litteram ricomincia l'aggressione ritmica di Harrison ed Ollis, per poi finire in una coda free jazz con parte solista di sax di Turner.Mirror Of Illusion è il secondo pezzo interamente cantato dell'album, un epilogo perfetto, una sintesi tra il blues del prologo e l'acidità dei brani che compongono l'album, il risultato è un pezzo a la Grateful Dead, un'immersione psichedelica in una pozza di petrolio blues che si infiamma in scariche di percussioni ed in lunghi assoli di chitarra, tutto dilatato da interferenze elettroniche e intermezzi strumentali sorprendenti, tra bridge e sottobridge che creano una fitta trama di dispersioni nelle quali è difficilissimo ritrovarsi, un crescendo di emozioni e palpitazioni che conduce fino alla fine di questi 7 indimenticabili minuti, sempre sospesi tra la "canzone" e l'improvvisazione, la supernova è sempre dietro l'angolo. Il tema del brano è la finzione, e il contrasto tra realtà e rappresentazione, notevole l'immagine della "maschera"; con riferimenti alla percezione alla comunicabilità dei sentimenti ma soprattutto alla reale consistenza del "mondo dei sogni", ed anche in questo senso ci si ricollega al tema della finzione, dell'illusione appunto. Tutto si chiude con delle immagini inquietanti, che fanno riflettere e lasciano un velo di tristezza e uno spunto di riflessione: lo specchio dell'illusione, l'inganno; il contrasto tra le prospettive; l'uomo che vive dentro una scatola (mi ricorda qualcosa... ); il ritrovamento delle porte della percezione (anche questo mi ricorda un paio di cose... ) ma... l'illusione è sempre dietro l'angolo.

...The mirror of illusion reflects the smile,
The world from your back door seems so wide,
The house, so tiny it is from inside,
A box that you're still living in,
I cannot see for why
You think you've found perception's doors, they open to a lie.
John

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