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venerdì 31 ottobre 2008

Converge: No Heores (2006)


Etichetta: Epitaph

Anno: 2006

Tracklist:
01. Heartache
02. Hellbound
03. Sacrifice
04. Vengeance
05. Weight Of The World
06. No Heroes
07. Plagues
08. Grim Heart / Black Rose
09. Orphaned
10. Lonewolves
11. Versus
12. Trophy Scars
13. Bare My Teeth
14. To The Lions

Line up:
Jacob Bannon - Vocals, Lyrics, Visuals
Kurt Ballou - Guitar, Vocals, Bass, Keyboards, Percussion, Theremin
Nate Newton - Bass, Vocals
Ben Koller - Drums, Percussion
Jonah Jenkins - Vocals, guest vocals on Grim Heart/Black Rose


Anno 2006. I Converge sono tornati. E già questo è un evento. Sì perché nonostante il titolo dell’album, il gruppo di Boston può ambire, se non al titolo di eroe, perlomeno a quello di paladino di un certo tipo di musica pe(n)sante, insieme a pochi altri eletti del calibro di Neurosis, Botch (rip) e DEP.
No Heroes ha il difficile compito di continuare a sorprendere la platea hardcore internazionale dopo la pubblicazione di perle mutanti come Petitioning The Empty Sky, Jane Doe e You Fail Me. Impresa assai ardua. I Converge in questi anni sembrano aver spaziato un po’ ovunque lungo la direttiva post/metal-hardcore e sbalordire di nuovo tutti con qualcosa di completamente innovativo è probabilmente troppo, anche per loro. Ci si affida allora alla classe dei singoli componenti, quella davvero infinita.
Sul display iniziano a scorrere i secondi e Jacob Bannon e soci non si fanno attendere, il poker d’apertura è da infarto. Heartache-Hellbound-Sacrifice-Vengeance. Prendete la violenza terremotante di Jane Doe (chi ha detto Concubine/Fault And Fracture?), la crudezza e pulizia sonora di You Fail Me e shakeratela con un po’ di vetriolo e acido muriatico. Il tutto in poco più di 5, ripeto e scandisco, c-i-n-q-u-e minuti.
Weight Of The World ci permette di rifiatare in attesa di uno degli highlights del disco: No Heroes.

In vein and valor
Be what they fear
Their days are over
Our nights are here
With hate and heartache
I'll strike you down
With rage and rapture
I crush your crown
No more gods
No more graves
No more love
No more hate
No more heroes
No more no more
In my world of enemies
I walk alone

Uno degli apici compositivi di questo fenomenale gruppo. Un trattato su come si debba scrivere una canzone dotata di cazzi e controcazzi. Il testo, come la musica, è diretto al cuore dell’ascoltatore, senza lasciare spazio a inutili fronzoli. E il resto della concorrenza post e dintorni è, ancora una volta, messo dietro in scioltezza.
Plagues ci striscia malefica sotto la pelle con le sue chitarre prese di peso dal calderone stoner/metal. Arriviamo a Grim Heart/Black Rose, il cuore dell’album. Ad accoglierci a braccia aperte troviamo Jonah Jenkins, cantante dei Milligram. L’atmosfera si fa, se possibile, ancora più pesante. E’ un tipo di violenza diametralmente opposto a quella proposta in apertura. E’ una violenza frastornante, psicologica e psicopatica. Le chitarre sono acide e i colpi di batteria pesano come macigni sulle spalle di un mondo che crolla a pezzi giorno dopo giorno. Sul finire del pezzo ritroviamo Jacob Bannon a prenderci per mano e affossarci nella sua personalissima spirale discendente. Un’esperienza psicofisica più che un semplice ascolto.
Neanche il tempo di riprenderci e Orphaned si abbatte fra capo e collo con la violenza di vecchi brani metalcore come Albatross o Buried But Breathing,i Converge non si sono scordati il loro passato.Lonewolves e Trophy Scars fanno abbassare la lancetta sul contachilometri ma non l’impatto sonoro, sempre devastante. Versus e Bare My Teeth pigiano invece decisamente il piede sull’acceleratore facendoci schiantare con i loro testi nelle coscienze marce che dominano l’odierna società, indipendentemente che si tratti di rapporti fra singoli o di masse.
To The Lions chiude alla grande un lavoro che probabilmente rimane un gradino sotto ai capolavori storici (almeno due) del gruppo, ma che può benissimo fungere da summa di quanto proposto fin qua, dato che i richiami al passato, come si è visto, non mancano. Per finire, due menzioni d’onore. Una sicuramente a Jacob Bannon. Screamer di livello 5 stelle (alla faccia di chi si lamenta perché fa solo quello!!) oltre che scrittore di testi incisivi come pochi. Proprio le liriche stavolta sembrano aver preso un maggiore peso “sociale” rispetto al passato, spostando leggermente l’obiettivo dalla classica analisi di rapporti interpersonali e stati d’animo singoli. L’altra va a Kurt Ballou, eccelso sia nelle vesti di chitarrista sia, come al solito, in quelle di produttore. Proprio la produzione infatti gioca un ruolo fondamentale nell’economia del disco, permettendo al gruppo di esprimere nella maniera più pulita e cristallina possibile tutta la sua classe.

Alessandro Sacchi =KG=

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