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martedì 30 settembre 2008

Talk Talk - laughing stock (1991)





Anno:
1991 Label: Polygram

Line Up:
Mark David Hollis - voce, chitarra, pianoforte
Paul Webb - basso
Lee Harris - batteria
Tim-Friese Greene - tastiere

Tracklist:
1. Myrrhman
2. Ascension Day
3. After The Flood
4. Taphead
5. New Grass
6. Runeii




Lo Spirito dell’ Eden. Così si intitolava il quarto disco dei talk Talk, band inglese degli anni ’80, che raggiunse la maturità e l’evoluzione solo negli ultimi due dischi, dopo aver trascorso troppo tempo come band synthpop/new romantic e troppo poco nella veste di sacerdotessa del post-rock. Ma per quel poco che è durato, l’astro fulgido dei talk talk è riuscito a lasciare un’impronta nell’ambiente alternative rock degli anni ’90. “Laughing Stocks” si presta ad una lettura caleidoscopica, dalla migliaia di sfaccettatura ed un numero inesauribile di lenti, attraverso cui osservare quel microcosmo sonoro che si genera nella bellezza struggente di appena sei brani. I talk talk riescono nell’impresa di cristallizzare nell’ambra un turbinio di emozioni, sensazioni, fremiti, piacere, riflessioni, respiri, vita, morte, evoluzione, fantasia.. Insomma catturano ciò che è uscito dal vaso di Pandora e cercano di riportarlo in forma solida, materiale, palpabile. Così come è palpabile l’emotività che traspare momento dopo momento: non è un disco semplice, né tanto meno potrete capirlo dopo qualche minuto, o dopo un misero paio di ascolti. Ma vi servirà del tempo, perché le cose buone e naturali hanno bisogno dei loro spazi e dei loro momenti: in silenzio, mettetevi un paio di cuffie per riuscire ad assaporare ogni singolo istante, ogni singola goccia dell’ambrosia che trabocca dal disco. E’ incredibile come il minimalismo possa essere capace di esplodere in centinaia di sfumature, che non contemplerete mai nel medesimo frammento di secondo: per al cura e la ricchezza dei particolari si avvicina alla Scuola di Atene di Raffaello o ai Coniugi Arnolfini di Van Eyck. Nell’insieme è accattivante e monumentale, ma solo osservandolo nelle sue singole parti, sarete veramente colpiti dalla bellezza e dalla complessità di ciò. In laughing stocks nulla è lasciato al caso: la batteria, le tastiere, la chitarra, il basso: a volte possono sembrarvi monotoni o ripetitivi, ma con una lettura concentrata questo sarà solo la dimostrazione che la pace dei sensi si raggiunge attraverso il rilassamento e la totale abnegazione dei pensieri. Lasciate da parte gli esami, le bollette, la multa che avete beccato perché avete lasciato la macchina in ZTL, ma lasciate cullarvi e trasportarvi lontano dalla musica e dalla calda e vellutata voce di Mark david Hollis. Se Barry White è il profeta dell’amore, Hollis è il cantore della solitudine, della saggezza, della bellezza oggettiva, della sete di risposte, degli interrogativi sul futuro. Il suo tono vi scruta all’interno dell’anima, è l’idea aristotelica di “voce”, almeno dal punto di vista del rock canonico: calma, pacata, corposa, blues e nera (pur essendo un bianco). Ha influenzato un gran numero di cantanti passando dal pop al rock mainstream, sino a giungere all’ambient ed al trip hop adatto a lunghe giornate uggiose ed a pomeriggi passati a riflettere sul futuro e sugli errori del passato. Gli accompagnamenti sonori non sono mai banali o poco argomentati: si sviluppano e propagano nell’aria come incenso; inebriano i vostri sensi passando da atmosfere blues, a qualcosa che può ricordare il tipico soul da localino fumoso degli anni ’50, alla psichedelica in stile blues magoos o 13th floor elevators, al pop sofisticato e drammatico di Chris Isaack. Mark David Hollis è un attore e la musica è il suo palcoscenico: inizia Myrrhman dopo un minuto di silenzio, interpreta e soffre per tutto il disco, alternando singhiozzi a vocalizzi, toni più bassi di un ottava, che improvvisamente si stabilizzano. E’ la trasfigurazione del decalogo dei sentimenti e degli stati d’animo: la sensualità, lo scetticismo, la solitudine, la rabbia, l’apatia; nessuna delle componenti della natura umana viene lasciata in disparte perché tutte contribuiscono a formare la personalità dell’uomo. Ecco forse cosa ha questo disco: personalità, qualità rara ed affascinante che si stà lentamente perdendo. Non è solo un album, è un vero e proprio organismo: un giardino dell’ eden, che segue regole sia botaniche che filosofiche. Il ciclo della vita in tutto il suo meraviglioso e distruttivo splendore: la batteria emula il battito del cuore, pulsante e vivo, sincronizzato sempre sul medesimo battito per assicurarci che tutto vada bene e non ci sia alcun campanello d’allarme attivo. Le corde della chitarra vengono pizzicate in maniera sentita, instaurando un transfert tra le vibrazioni del rame e quelle della nostra anima, crescente e avvolgente sensazione di crescita ed espansione verso l’alto. A ciò contribuiscono la sezione fiati ed archi veramente curata, che riesce a dare quel tono raffinato ed elegante, come la porpora od il velluto. Tutto segue un preciso disegno, inspiegabile e pazzesco.


Sgabrioz

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